Il racconto del mito, raccolto dai versi di Omero, è noto. Ulisse ha sostato a lungo, preso dalle lusinghe di Circe, protraendo quasi senza fine il giorno del ritorno a casa, a Itaca. Con la guida di Atena, l’eroe riprende il viaggio con i compagni e la nave. Una tremenda tempe-sta li arresta ancora una volta, sconvolgendo i piani di Ulisse e dei suoi compagni. Naufra-go, solo, persa la nave e i compagni, dolente e affranto, l’eroe greco viene sbattuto dalle onde sulla spiaggia di un’isola sconosciuta, rivelatasi in seguito l’isola del regno dei Feaci. Sulla spiaggia Ulisse incontra Nausicaa, la giovane figlia del re e le sue ancelle. Le giovani donne, provvide e gioiose si prendono cura dell’eroe che riprende, attimo dopo attimo, cura dopo cura, forza e bellezza. Ancora ignoto nella sua identità è invitato, ospite, alla cena che ogni sera il re dei Feaci, Alcinoo offe ai suoi ospiti. Al culmine della cena un aedo, Demodoclo, si alza e su invito del re intrattiene con il canto gli ospiti. Il canto e il suono della cetra dell’aedo celebrano le gesta degli Achei sotto le mura di Troia. Le parole del canto non narrano solo l’atto glorioso della conquista della città di Troia, ma anche l’orrore della strage, l’eccidio degli innocenti, delle donne, dei vecchi, dei bambini e l’immane orrore e il lutto per la distru-zione di una città avita, carica di memorie e di gloria. Ulisse, ancora sconosciuto ai più, ascolta attento e attraverso la narrazione fitta dell’aedo comprende per la prima volta quello che è veramente accaduto sotto le mura di Troia e fonde insieme alla gloria il lutto insosteni-bile per tanto dolore inflitto agli innocenti. E nel comprendere, per la prima volta in vita sua, tutto questo, affranto dal senso di colpa, si copre il volto col lembo della tunica e piange.