La ricerca di fondo che anima e unifica i contributi raccolti nel presente volume si articola attorno al confronto tra diverse interpretazioni della dimensione umana della morte e del morire. Si tratta perciò di un approccio essenzialmente antropologico, presupposto ineludibile, per quanto riguarda il livello assistenziale, di ogni programma di umanizzazione dell'assistenza al malato terminale e, per quanto riguarda il livello più specificamente etico, passaggio obbligato di un'adeguata istruzione dei problemi che insorgono nel contesto delle Cure Palliative.
Sviluppatosi nella prospettiva dell'umanizzazione del morire, contro il progressivo impoverimento umano cui il morire è esposto all'epoca della tecnicizzazione della medicina, il movimento delle cure palliative non è esente da una connotazione di ambiguità: tentativo di socializzazione del morire, oppure nuova forma di medicalizzazione? La soluzione di questa ambiguità richiede di ravvivare l'intenzionalità originaria delle Cure Palliative: aiutare a vivere fino alla fine. É in sostanza l'intenzione di valorizzare il tempo del morire, sottrarlo alla deriva della residualità, al rischio della logica della "rottamazione".
Nel presupposto che, anche nella fase terminale, un paziente rimane persona e in quanto tale in grado, se posto nelle adeguate intenzioni, di fare dell'ultimo tratto della sua vita, un'esperienza di crescita. E tuttavia, se questo presupposto offre un chiaro orientamento, si deve tener conto delle difficoltà che la pratica dell'accompagnamento del malato terminale comporta. Di fronte alla richiesta di prestazioni di alta intensità solidaristica che l'accompagnamento comporta, come non notare l'incongruenza tra questa richiesta e il diffuso atteggiamento di "apatia" che si pone nei confronti della sofferenza in termini di pregiudiziale rifiuto? Se per concetto di "terapia" viene tradizionalmente inteso solo l'intervento finalizzato a risolvere o migliorare uno stato negativo, com'è possibile un impegno terapeutico in una realtà che è inguaribile? Con quali motivazioni alimentare l'impegno terapeutico-assistenziale? Su quali livelli di competenza si possono o si devono investire le proprie aspirazioni professionali anche per la cura del malato per il quale "non c'è più niente da fare" in termini di guaribilità?
Marco Bonetti , dirigente medico esperto in organizzazione dei Servizi e di formazione in ambito socio-sanitario, referente del programma formativo della Regione Veneto per lo sviluppo della rete di cure palliative. È curatore del volume "Il dolore è narrato: la comunicazione con il malato oncologico Grave", Centro Scientifico Editore, Torino 2001.
Marina Rossi , psicologa, psicoterapeuta ed esperta in formazione professionale, è funzionario regionale della Direzione Piani e Programmi Socio-Sanitari della Regione Veneto, incaricata della progettazione e realizzazione delle iniziative formative regionali per lo sviluppo dei servizi di assistenza e cura ai malati in stato di particolare gravità.
Corrado Viafora , professore di Filosofia morale presso l'Università di Padova, insegna Bioetica nella Facoltà di Scienze della Formazione e nella Facoltà di Medicina e Chirurgia. Fa parte nella stessa università del Corpo Docente del Dottorato di ricerca in Metodologia clinica e del Corso di Perfezionamento in Bioetica, è presidente del Comitato di Bioetica del Dipartimento di Pediatria. Dal 1988 coordina la ricerca e le attività di formazione del Progetto Etica e Medicina della Fondazione Lanza. È membro della European Society for Philosophy of Medicine and Health Care. È autore di Fondamenti di Bioetica , Ambrosiana Editrice, Milano 1989 e curatore di: Vent'anni di Bioetica: idee, protagonisti, istituzioni , Gregoriana Editrice, Padova 1990; Comitati Etici: una proposta bioetica per il mondo sanitario , Gregoriana Editrice, Padova 1995; Quando morire? Bioetica e diritto nel dibattito sull'eutanasia , Gregoriana Editrice, Padova 1996. Dirige, insieme a P. Benciolini, la Collana "Etica e Medicina", pubblicata da CIC Edizioni Internazionali, Roma.