Occuparsi oggi dei paesi dell'Europa centro - orientale significa prendere le mosse dalla disintegrazione dei regimi comunisti (Unione Sovietica esclusa) in Polonia e in Ungheria, in Cecoslovacchia e in Germania orientale (ciò che è accaduto in Romania e in Bulgaria e, da ultimo, nella stessa Albania esigerebbe un discorso a parte); disintegrazione avvenuta con tanta facilità da indurre quasi a pensare che quei regimi fossero ormai diventati dei polverosi simulacri destinati, in assenza dell'appoggio sovietico, a crollare miseramente sotto l'urto delle manifestazioni di massa.

Per qualsiasi osservatore attento è, comunque, estremamente difficile formulare un giudizio complessivo (ed esaustivo) su un fenomeno di tale portata. Estremamente difficile perché ci si trova di fronte, accanto ad alcune costanti, a una serie di variabili che sfuggono, almeno per il momento, a un tentativo di sistemazione razionale; e anche perché, nonostante quanto rosse stato detto e scritto autorevolmente da più parti sulla realtà dell'Europa comunista nei decenni trascorsi, gli avvenimenti del 1989 hanno colto tutti di sorpresa. Né sono da escludersi altre sorprese via via che i processi messi in moto da tali avvenimenti svilupperanno tutte le loro potenzialità. Va registrato intanto che il crollo del comunismo ha paradossalmente messo in moto, insieme alle trionfanti apologie del capitalismo (che sarebbe uscito definitivamente vincente dal confronto), una critica dei suoi limiti anche da parte di chi non può essere certo accusato di filocomunismo