Brescia si presentava nel primo Ottocento come un luogo protetto, dove una consolidata rete assistenziale era chiamata a mediare le contraddizioni dell'ambiente urbano. Da un lato le degradate condizioni igienico-sanitarie e l'elevata mortalità concorrevano a determinare un tasso di crescita demografica particolarmente basso. Dall'altro le disagevoli condizioni abitative, alimentari e di lavoro dei ceti popolari li rendevano vulnerabili ad ogni minima variazione economica. Nel corso della loro vita i poveri vedevano alternarsi il momento del lavoro a quello del vagabondaggio, dell'ospizio o dell'ospedale. Oggetto di indagine di questo studio sono le condizioni di povertà e la rete delle istituzioni che se ne sono fatte carico: dagli enti di antica costituzione, agli istituti sorti durante la Restaurazione, caratterizzati da finalità educative e riabilitanti. La ricerca non si limita a documentare i progetti assistenziali e la loro messa in pratica, ma anche le reazioni e le risposte elaborate da coloro che ne erano i destinatari, evidenziando una cultura dei reclusi, non opposta o resistente a quella dei reclusori, ma tesa a ritagliare margini di autonomia e di tutela.