Le questioni da affrontare nell’ambito della tutela della salute mentale all’interno delle carceri appaiono diverse e complicate proprio a partire dalla condizione di reclusione, esperienza umana "al limite" che coincide, da un lato, con la perdita della libertà individuale e, dall’altro, con la frattura della continuità esistenziale. È proprio nell’immediatezza dell’ingresso in istituto, dalla libertà, che si rileva un rischio maggiore di condotte autolesive o suicidarie. Gli agiti autolesivi, infatti, rappresentano uno dei pochi strumenti di cui il detenuto dispone per influenzare l’ambiente che lo circonda ma, nel contempo, sottendono una problematica ben più profonda ed una richiesta di aiuto. Obiettivo primario di questo contributo è la necessità di rileggere la complessità del rischio connesso all’esperienza della carcerazione alla luce dei "bisogni di salute", declinandola attraverso un’analisi delle attività dell’Equipe di Salute Mentale (ESM) realizzate in questi anni all’interno della Casa Circondariale di Monza. Obiettivi ulteriori riguardano il modello organizzativo da impiegare in un’area che ha visto recenti sviluppi e necessita ancora di una elaborazione puntuale della fattibilità nell’ambito delle normative esistenti.