L’Autore descrive due modelli fondamentalmente differenti ai quali è possibile rimandare lo stile col quale oggi si tende a definire concettualmente la psicoterapia: il primo modello equipara la psicoterapia al lavoro e vede in essa un’impresa alla cui costruzione terapeuta e paziente collaborano reciprocamente, in un contesto dove rimane comunque sottinteso che è principalmente al paziente che spetta la parte prevalente del «lavoro» psicoterapeutico; il secondo modello, invece, è quello che equipara la psicoterapia a un’illusione, seguendo una strada molto più astratta e priva di sicuri appigli, ma dotata dell’impagabile possibilità di condurre veramente il paziente a venire a contatto col proprio mondo interiore. Questa dicotomizzazione proposta dall’Autore riecheggia fondamentalmente quella tra le psicologie bipersonali (che appoggiano il modello del lavoro) e le psicologie unipersonali (ancorate al modello classico e che appoggiano il modello dell’illusione). La preferenza dell’Autore va sicuramente al secondo di tali due modelli per una serie di ragioni teoriche che egli spiega in modo dettagliato.