Il continuo mutare di alleanze dei comuni italiani, così lontano dai rigidi schemi storiografici che vorrebbero ciascuna città per sempre ideologicamente schierata, dettato da ragioni di varia natura e in continua evoluzione, dette luogo a esperimenti politici diversi che sintentizzavano gl’interessi delle comunità e degli individui al potere. Tra le soluzioni più "spregiudicate" sono da registrare i patti di fusione degli organismi comunali, piuttosto frequenti in Piemonte. Uno degli strumenti di realizzazione di queste particolari alleanze fu il reciproco acquisto di una casa in città per stabilirvi la residenza collettiva del comune: una specie di ambasciata o, meglio, un pegno del valore dell’immobile. Era, in verità, la normale procedura attuata dai comuni nei patti di cittadinatico, con i quali si invitavano le popolazioni rurali e i loro signori a risiedere entro le mura, chiedendo una minima permanenza stabile: se il contraente avesse abbandonato la sua residenza entro la scadenza, avrebbe perso la proprietà della casa a favore del comune. Il possesso di case garantiva dunque l’impegno dell’alleanza. Non si trattava, se non raramente, di un luogo di rappresentanza del comune, che vi agì in poche occasioni. Piuttosto, fu un luogo di prestigio che alimentava i buoni rapporti fra le istituzioni che rappresentava. La manutenzione dell’edificio risultava dunque non secondaria e se ne occupava volentieri il comune ospitante a spese di quello ospitato, che generalmente recuperava l’investimento fattovi affittando i locali a qualche concittadino emigrato.
Keywords: Cittadinatico, edilizia, nartece, Piemonte, XII-XIII secolo, città comunali.