Il film Mommy (Dolan, 2014) permette una serie di interrogativi che riguardano la clinica dei pazienti borderline. Il problema che pongono questi pazienti concerne la dissociazione difensiva netta fra gli oggetti concreti e gli affetti. Tutto il comportamento patologico del border si concentra sulla necessità di coprire e negare il netto bisogno di sperimentare emozioni. Tale esperienza è continuamente cercata, ma al tempo stesso temuta perché coincide con il riconoscimento dei limiti e delle fragilità che questo tipo di pazienti non possono riconoscersi. Pertanto Kyla che nel film balbetta evoca il tentativo dei border di presentare la propria voce, costantemente coperta dal chiasso. La grandiosità esasperata che i border propongono continuamente copre il diritto di questi pazienti di poter presentare le proprie ferite che, nella realtà, permette l’esperienza dolorosa, ma autentica della vergogna. Ma Steve che si vergogna vorrebbe trovare riconoscimento, mentre trova indifferenza. Infine il film suggerisce che i percorsi di cura di questi pazienti hanno esiti molto differenti e, quasi sempre limitati a fasi più o meno lunghe che lasciano sempre percorsi sospesi o drammaticamente interrotti.
Keywords: Borderline; cinema e psicoanalisi; adolescenza; dissociazione; processo dissociativo; vergogna.