L’architettura di questo contributo, essenzialmente clinico, poggia su quattro assi portanti. Il primo riguarda l’inquadramento della storia di un giovane gambiano, Lamin, nell’eterogeneo scenario culturale ed etnico-religioso di un Islam che si presenta come un prodotto sincretistico ad alta complessità e sempre più contiguo al mondo animista delle forze invisibili. Il secondo concerne il racconto del giovane Lamin che, poco più che undicenne - quando nessuno lo vede - riesce a fuggire dal suo villaggio dove non ha più diritto di dimora in quanto accusato dallo zio marabou di essere la causa della maledizione che si è abbattuta sulla famiglia. Sotto il peso di un segreto insostenibile e di vistosi sentimenti di paura e di vergogna, Lamin attraversa, il Mali, il Niger ed arriva in Libia dove viene abusato e torturato. Il terzo riguarda l’approdo di Lamin su un barcone in Sicilia all’età di 15 anni e mezzo. Dirà alle psicologhe che lo hanno in carico da ormai vari anni: "Negli ospedali italiani non sanno curare la mia malattia perché non la vedono". Il quarto è quello metapsicologico che tenta di legare il mondo dell’invisibile alla visibilità dell’inconscio.
Keywords: Islam, cosmogonia mandinka, dislocazione, visibilità, inconscio.