Se oggi il restauro ha perso la connotazione di retroguardia ove per tanto tempo è stato relegato dalla cultura architettonica dominante, molto del merito va a poche ma elette figure, che nel tentativo di trovare una via intermedia fra i poli della conservazione ad oltranza e del rifacimento senza appello, hanno individuato originali modi di intervento e di riflessione teorica. Gino Chierici appartiene a quella generazione di architetti-restauratori che operano in Italia soprattutto fra il 1920 e il 1950 riconoscendosi eredi, più o meno fedeli, delle idee e dei problemi suscitati dagli aspiratori ottocenteschi, in particolare da Camillo Boito, capostipite riconosciuto del grande sforzo culturale che condusse alla nascita di questa disciplina.

Vivendo di tali origini storiche, l'ambiente culturale entro il quale Chierici opera si riconosce nelle valenze fruttuose e ricche della Carta d'Atene (1931) e della Carta Italiana del restauro (1932) cosi come nell'opera decisiva e ispiratrice di Gustavo Giovannoni.

In questa ricerca si è inteso ricomporre la figura di Gino Chierici analizzando alcune fra le sue maggiori opere di restauro non limitandosi però ad un ristretto ambito di semplice descrizione, ma cercando di collocare il suo lavoro in un più ampio contesto culturale.

Tale proposito di storicizzazione trova ragione negli ormai più vasti confini che informano oggi il dibattito e i tentativi della cultura della conservazione.

Letizia Galli (Milano, 1959) si è laureata nel 1984 presso il Dipartimento di analisi critica storica dell'Istituto universitario di architettura di Venezia con una tesi sull'opera di Gino Chierici, relatori il prof. Paolo Torsello e il prof. Amedeo Bellini, presso la cui cattedra di Teoria del restauro al Politecnico di Milano attualmente collabora.