Il concetto di "banalità del male", specie nelle sue declinazioni di senso comune, tende a spiegare la disposizione alla violenza come legata a un vuoto o a un’assenza: l’uccisione della coscienza morale, la "mancanza di pensiero" che Hannah Arendt attribuisce a Eichmann, le "teste vuote" che contrassegnano la delinquenza giovanile. In questo articolo, vengono sostenute le potenzialità di un approccio etnografico che consideri la violenza come un "pieno" - il frutto di processi pedagogici e di costruzione culturale, non meno di altre sfere dell’agire sociale. In particolare, viene discusso il problema della costituzione dei "soggetti violenti" e della loro genealogia in relazione a sistemi di pratiche sociali, in riferimento ad autori come Hannah Arendt, Franz Fanon e Giorgio Agamben.
Keywords: Banalità del male, violenza, antropologia culturale, coscienza morale, Hannah Arendt