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Il lockdown imposto dall’epidemia di coronavirus ha generato un esperimento esteso senza precedenti: tutti quelli che potevano non sono più andati sul luogo di lavoro ma hanno lavorato da casa. Lo smart working (o home working, remote working, WFH Working from Home, lavoro agile, telelavoro), come modalità di lavoro che consente di lavorare anche fuori dalla sede dell’organizzazione di appartenenza e che noi chiameremo lavoro ubiquo, è da oltre venti anni materia di controversie e di esperienze pilota limitate. Questo esperimento di massa servirà ancora nelle fasi 2 e 3 dell’emergenza. Dopo l’emergenza potrà consolidarsi e diffondersi solo se lo smart working o lavoro ubiquo sarà progettato e gestito con rigore, metodo e appropriatezza ai diversi contesti, scegliendo la giusta proporzione fra lavoro in sede e lavoro remoto. Come fare? Intervenendo sulle norme, sulle tecnologie di supporto, sul modo di gestire lavoro e vita, sul mindset, ma soprattutto sulla concezione degli uffici, sulla loro organizzazione, sul lavoro, sul rapporto tra capi e collaboratori e soprattutto sui processi di job e organization design and crafting. Il modo per gestire questo cambiamento richiede progettazione e sviluppo congiunti di tecnologia, organizzazione e lavoro condotti con la massima partecipazione di imprese, istituzioni, istruzioni, sindacati e soprattutto dei lavoratori. Questo va fatto ispirandosi anche a casi di successo sviluppati in questi anni. Questo articolo si concentra soprattutto sul necessario e possibile cambio di paradigma degli uffici, dell’organizzazione, del lavoro. Un lavoro ubiquo e uffici blended fra il fisico e il virtuale possono funzionare bene a tre condizioni socio- organizzative: a) superare la concezione dell’ufficio-fabbrica; b) favorire organizzazioni basate su sistemi sociotecnici orientati a obiettivi produttivi e sociali misurabili e sulle 4C (Cooperazione autoregolata, Condivisione delle conoscenze, Comunicazione estesa, Comunità performante); c) ridisegnare il lavoro sui ruoli e sulle professioni superando mansioni, posizioni e livelli. L’ascolto e l’apprendimento delle esperienze positive e negative del lavoro a casa imposta dal lockdown possono essere un acceleratore del profondo cambiamento iniziato da tempo. Società di consulenza, di informatica, università si stanno esercitando a individuare gli ingredienti e gli strumenti dello smart working del futuro. Apprezzabili gli interventi tecnici settoriali. Ma per diffondere lo smart working/lavoro agile/lavoro ubiquo a livello nazionale è richiesto un approccio sistemico governato dagli stakeholder dell’impresa o della pubblica amministrazione. Le nostre proposte riguardano in primo luogo i metodi e i modelli con cui progettare e gestire lo smart working e in secondo luogo il lancio di: a) una grande programma di ricerca multidisciplinare " smart working" che si è svolto durante e subito dopo il lockdown, programma che va condotto collaborativamente dai centri di ricerca e dalle università italiane, in forte rapporto con l’Europa; b) un programma di supporto alle PMI e alla Pubblica Amministrazione offerto dalle università, società di informatica, consulenza, formazione, interior design con modalità e costi sostenibili. Destinatari della prima proposta sono le aziende e le Pubbliche Amministrazioni e i loro stakeholder; destinatari della seconda sono il mondo della ricerca e il mondo delle politiche pubbliche che attivino patti fra istituzioni e corpi intermedi.

La legittimazione del welfare-mix riconosce al "contratto" (nelle sue diverse configurazioni) il ruolo di intermediario nella messa in opera delle politiche, separando in qualche modo lo spazio del coordinamento da quello della gestione ma ponendo, allo stesso tempo, indubbie sfide di cooperazione tra le parti: la Pubblica Amministrazione che programma e coordina i servizi di cui mantiene la responsabilità, il Terzo Settore che sempre più spesso li gestisce e l’utenza finale, portatrice del bisogno.Il contratto definisce non solo i termini di uno scambio, ma anche uno spazio formalizzato all’interno del quale si va informando la relazione tra più soggetti. Questa relazione ha una dimensione processuale, si sviluppa nel tempo e retroagisce sui soggetti coinvolti, anche a livello organizzativo: sui processi decisionali, sui flussi informativi ma anche sulla pre-ordinabilità delle azioni e sulla discrezionalità dei lavoratori impiegati nell’esercizio delle proprie attività. Queste dinamiche emergono con evidenza quando l’oggetto del contratto è un servizio a rilevanza pubblica - di cui la Pubblica Amministrazione detiene cioè la responsabilità dell’erogazione - come i servizi sociali. Il dispositivo di governo (appalto, co-progettazione, convenzione), utilizzato per regolare questa relazione, acquisisce dunque un particolare interesse per l’indagine, soprattutto nelle sue conseguenze operative.La proposta si focalizza sull’analisi micro-organizzativa di "Punto d’Accordo", centro per la mediazione dei conflitti del Comune di Modena gestito dalla Cooperativa Mediando. Partendo dal capitolato di appalto, che definisce la cornice normativa dello scambio, si procede all’analisi dell’organizzazione del lavoro rispetto a diverse dimensioni: discrezionalità e pre-ordinabilità delle azioni, autonomia decisionale, coordinamento. Si ripercorrono le scelte organizzative e i dispositivi messi in campo da ciascuno dei due contraenti, attraverso interviste ai lavoratori, in base al ruolo ricoperto nell’organizzazione e si enucleano i principali punti critici nell’erogazione. La stessa natura del servizio - mediazione sociale e di comunità - pone interessanti interrogativi sulla standardizzazione e sulla natura pubblica delle attività oltre che sul valore della co-costruzione dell’intervento tra Pubblica Amministrazione, Gestore Terzo e cittadinanza.Il caso studio, circoscritto nelle dimensioni, rappresenta un esempio di come sia necessario riconfigurare ruoli e processi nelle prestazioni ad alto impatto sociale e pubblico, ponendo interrogativi generalizzabili a un livello più macro. Al centro c’è il ruolo degli operatori - tanto della Pubblica Amministrazione quanto della Cooperativa - e l’esperienza condivisa all’interno di una "istituzione ibrida".

In the last few decades, inclusion has captured the attention of corporate leaders and prominent researchers. Business organizations, as non-spontaneous social systems, are particularly prone to be non-inclusive venues due to diversity among organizational populations which consist of groups of coworkers who are usually not entitled to choose their colleagues. This paper aims to enrich the understanding of inclusion within organizations, investigating its social dimension (the extent to which individuals feel woven into the social fabric of their organization) and the occupational dimension (the extent to which organizational members are involved in critical organizational processes). Building on the different bodies of literature on diversity and inclusion, leadership, human resource management, and organizational culture, the present study develops a conceptual framework on the dynamics of inclusion at the individual-organization level, emphasizing the roles of leadership and human resource management practices in establishing an inclusive culture and the subsequent synergistic inclusion of diversity within the workplace.

Nel corso degli ultimi anni i sistemi di welfare europei a livello sia nazionale che locale, hanno subito delle rilevanti trasformazioni prodotte dai cambiamenti socio-demografici, dall’emersione di nuovi bisogni e dalla contrazione/diminuzione delle risorse disponibili. In questo quadro l’assetto organizzativo del welfare che pertiene gli attori coinvolti, le risorse impiegate, i rapporti di collaborazione, la programmazione e l’erogazione dei servizi ha assunto ancora più rilevanza. Questo è ancor più evidente a livello locale, dove la territorializzazione del welfare ha spostato la programmazione/erogazione dei servizi verso il livello di governo più prossimo ai cittadini, in vista di una maggiore personalizzazione delle prestazioni. Questo processo di territorializzazione cosa ha comportato sia in termini di assetti organizzativi sia di disegno delle policy? Con quale strumento analitico può essere interpretato? Lo strumento analitico del governance network sembra fornire gli strumenti più adatti per comprendere una delle nuove traiettorie dell’organizzazione del welfare a livello locale, cogliendo il passaggio dalla semplice logica della messa in rete a quella della costruzione di strumenti di governance più articolati, stabili ed efficaci. Stabilito il quadro teorico e quindi la chiave interpretativa, l’articolo prenderà in esame come caso studio l’esperienza peculiare dei Piani di Zona in Regione Lombardia con particolare attenzione al percorso evolutivo culminato con la più recente linea di indirizzo per la programmazione regionale emanata dal governo regionale lombardo. L’idea è che tale cambiamento possa essere efficacemente spiegato utilizzando gli strumenti analitici forniti dal framework della governance network.

Maria Rita Tagliaventi, Donato Cutolo

Betwixt and between: la liminalità nelle nuove forme di lavoro

STUDI ORGANIZZATIVI

Fascicolo: 1 / 2020

La liminalità, intesa come transizione da uno stato o ruolo pregresso a uno futuro, rappresenta una lente di interpretazione di crescente rilevanza dei fenomeni organizzativi. Originariamente formulata nell’ambito dell’antropologia, la liminalità è contraddistinta, nell’elaborazione di Victor Turner, da alcuni elementi: la presenza di riti, cerimonie e simboli che accompagnano il passaggio, marcandone inizio e fine; una mutata percezione di spazio e tempo rispetto al passato e a coloro che non vivono un’esperienza simile; la costruzione di legami forti, riconducibili alla formazione di una comunità, tra individui che condividono la medesima esperienza; un’articolazione di ruoli, norme e routine che differiscono da quelli prevalenti nei contesti regolari e che danno luogo a un’anti-struttura; un processo di revisione di identità personale e sociale. La trasformazione in atto dei processi di lavoro ha reso la liminalità un costrutto atto a interpretare vari contesti nei quali gli individui si sentono sospesi tra più organizzazioni o ruoli, senza appartenere davvero a nessuno di essi. Sono state ricondotte a esperienze liminali infatti alcune forme di lavoro contingente come il lavoro a contratto e a progetto, l’affiliazione a più organizzazioni contemporaneamente, lo svolgimento di più ruoli per un’organizzazione e i percorsi di carriera multipla, ma anche situazioni straordinarie legate alla necessità di affrontare eventi imprevisti. Le interpretazioni fornite dalle esperienze liminali organizzative evidenziano, da un lato, come non tutti gli elementi della liminalità della rappresentazione Turneriana siano salienti in questo ambito e, dall’altro, ne siano proposti di nuovi, come lo sviluppo di competenze e le pratiche individuali. L’applicazione della lente interpretativa della liminalità ai fenomeni organizzativi segna pertanto una marcata differenza rispetto alla riflessione antropologica che può comportare un arricchimento del costrutto, ma anche il rischio potenziale di un suo indebolimento per la sovrapposizione con altri costrutti. Nell’equilibrio tra aderenza all’elaborazione originale, soprattutto a quel "sentirsi tra e in mezzo" che è la natura della transizione, e spunti innovativi risiede il potenziale della liminalità di affermarsi come costrutto in grado di agevolare la comprensione di processi di lavoro contemporanei.

Lia Tirabeni, Francesco Miele

Tecnologie digitali e potere nelle organizzazioni: dinamiche di controllo ed effetto "contraccolpo"

STUDI ORGANIZZATIVI

Fascicolo: 1 / 2020

Attraverso una ricognizione concettuale della letteratura, il lavoro discute la relazione potere-tecnologia-organizzazione considerando due pratiche abilitate da tecnologie digitali: il lavoro da remoto e il monitoraggio sul lavoro. I due casi di pratiche lavorative tecnologicamente supportate permettono di ritornare a tematiche classiche del dibattito organizzativo, quali l’analisi delle dinamiche di controllo emergenti con l’introduzione di tecnologie digitali e le conseguenze sul potere preesistente. Con la metafora del contraccolpo si mostra che l’opportunità di esercitare un controllo più pervasivo sulla forza lavoro non si traduce automaticamente in un rafforzamento delle asimmetrie di potere. Al contrario, tale controllo potrebbe innescare nuove forme di riappropriazione del potere da parte dei lavoratori.

FeDerSerD Federazione Italiana degli Operatori dei Dipartimenti e dei Servizi delle Dipendenze

IX Congresso Nazionale

MISSION

Fascicolo: 53 / 2020