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Psychological literature on health-care workers (HCWs) during COVID-19 outbreak has scarcely explored the possible relationship between shared sense-making around work context experiences, burnout, and coping strategies. The aim of the present study is to explore the interplay between shared meanings around work context experiences, burnout, and coping strategies, in a sample of Italian HCWs. At the time of the study, all participants (administrative staff, nurses, and physicians) were employed in the vaccine services against COVID-19 outbreak of Romagna Local Health Authority. A sample of 155 professionals (71.6% women) were administered an online survey exploring shared experiences on six topics related to the pandemic work context (i.e., vaccines, relationships with coworkers, vaccine services, Romagna Local Health Authority – RLHA, Regional Health System of Emilia-Romagna - RHS and subjective feelings about post-pandemic situation) and psychological dimensions such as burnout and coping strategies. Cluster analysis and multiple correspondence analysis enabled the identification of four clusters, or shared sense-making dimensions (respectively marked by optimism, scepticism, efficiency, and frustration), conceived along three main latent factors, influencing the representation of HCWs’ experiences within the work context. These factors are optimism/pessimism (factor 1), relationship/task orientation (factor 2) and inefficacy/efficacy (factor 3). One-way ANOVA revealed differences on burnout and coping strategies based on the identified clusters. Pearson’s correlations showed statistically significant associations between burnout measures and some coping strategies. In this study we found that different shared sense-making dimensions (i.e., clusters), around the pandemic work context experiences, are associated with the variation of burnout measures and coping strategies.
The physiotherapist is a key figure in the process of treating patients with a large spectrum of problems. From a biopsychosocial perspective, it would be interesting to integrate both professionals into the work team. This study aimed to explore physiotherapists’ perceptions on how they imagine the role of the psychologist in their work context, to highlight the importance of integrating this figure as a resource for the patient, the physiotherapist, and the health context. In this study, 50 physiotherapists (27 females and 23 males; mean age = 42 years; sd = 12.2) participated in an individual interview via videocall. Socio-demographic and occupational data were collected. The texts of the interviews, recorded and transcribed, were analyzed using the Emotional Text Mining (ETM) technique using the T-LAB software. Five clusters emerged from the analysis: (1) The psychologist as support to physiotherapy, focused on the help that the psychologist could provide to physiotherapy, (2) The psychologist in the team, focused on the role of the psychologist as an integral part of their work team, (3) A possible integration, highlighting the role of the psychologist in a more global context, (4) Reprocessing, centered on the elaborating function of psychology, (5) The psychology impasse, describing the difficulties associated with this integration. Listening to and understanding physiotherapists’ thoughts and fantasies related to the integration of the psychologist in the rehabilitation process is essential to propose adequate multidisciplinary interventions that include both the somatic and psychological aspects of the person.
Il contributo intende presentare le riflessioni che hanno accompagnato il percorso di attivazione del Centro “Generazioni in Gioco”, un servizio di ASL2 Savonese rivolto ai giovani dai 14 ai 25 anni. L’idea del Centro nasce dalla consapevolezza che i bisogni di salute della popolazione adolescente raramente vengono intercettati dai servizi sanitari territoriali, ormai configurati per affrontare in modo pressoché esclusivo il malessere profondo espresso dagli adulti: da qui la scelta di dare vita a uno spazio “altro”, in cui le domande di senso portate dagli adolescenti possano trovare accoglienza. Proponendosi come un filtro tra i bisogni dell’utenza e i servizi di secondo livello, il servizio ha progressivamente riconosciuto l’esigenza di ampliare il proprio sguardo per rispondere ai bisogni emergenti dal lavoro quotidiano con le fragilità esistenziali. La complessità e multiformità delle domande psicologiche portate dagli utenti ha evidenziato la necessità di un ripensamento delle metodologie e delle strategie di intervento inizialmente limitate alla presa in carico e alla cura, comportando un riorientamento delle azioni verso traiettorie di promozione della salute. Il Centro si è così impegnato nella costruzione e rafforzamento delle connessioni tra le realtà territoriali che, con diversa titolarità, si occupano di adolescenti (scuola, servizi sanitari, servizi sociali, terzo settore, realtà associative del territorio), convocandole sul comune obiettivo di tutelarne gli itinerari di sviluppo e di promuoverne le abilità personali e sociali, nella consapevolezza che ci vuole un villaggio per far crescere un bambino.
Il presente articolo analizza il Percorso Integrato Disabilità Adulta (PIDA) alla luce delle recenti evoluzioni del modello assistenziale territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale (SSN), come delineato dal decreto-legge n. 34/2020 e successivi sviluppi. Si dimostra come la struttura e la filosofia operativa del PIDA si integrino sinergicamente con i principi cardine della nuova assistenza territoriale, in particolare per quanto concerne la continuità assistenziale, la presa in carico olistica, la stratificazione della popolazione e la promozione della salute nella comunità. Inoltre, l’articolo estende l’analisi del Percorso Integrato Disabilità Adulta (PIDA), focalizzandosi specificamente sul ruolo che la figura dello psicologo assume in questo modello/processo integrato multidimensionale. Si argomenta come il PIDA rappresenti un’opportunità concreta per dare sostanza attuativa al progetto di riorganizzazione dei servizi psicologici nell’ambito delle cure primarie e della psicologia del territorio. Vengono inoltre messi a fuoco gli snodi critici e le opportunità teorico-pratiche derivanti da questa integrazione.
Il nostro contributo riflette sul crescente disagio psicologico in Italia, evidente dall’aumento dell’utilizzo di psicofarmaci e dai dati sulla salute mentale giovanile. Viene sottolineata la necessità di superare una concezione di salute limitata all’assenza di malattia e di cura focalizzata su sintomi e prestazioni, in favore di una visione più ampia che includa il benessere psicologico, le determinanti socioeconomiche, culturali e relazionali. Questa diversa attenzione è fondamentale per rispondere alle nuove domande di salute e per integrare la psicologia nel sistema sanitario territoriale, ma pone questioni e impone scelte di ordine epistemologico e metodologico. Un’occasione importante in questa prospettiva potrebbe essere rappresentata dall’introduzione di una psicologia delle cure primarie, su cui varie Regioni italiane hanno legiferato, con obiettivi come l’intercettazione precoce del disagio, l’assistenza di prossimità e l’integrazione con altri servizi. Tuttavia, le iniziative regionali mostrano disomogeneità e stanziamenti economici notevolmente sottodimensionati rispetto ai bisogni. Pur entro queste importanti limitazioni, è possibile iniziare a costruire un approccio integrato che unisca interventi individuali, gruppali e comunitari, basato su un’ottica salutogenica, su un orientamento critico alla promozione della salute e sulla valorizzazione delle risorse di comunità, come si sta cercando di fare nella ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Un posizionamento consapevole e trasformativo della psicologia nei contesti, fondato sull’empowerment, sulla cura come pratica universale e sulla capacità di “tenersi presente” nel flusso relazionale della vita comunitaria è necessario per una riconfigurazione sistemica della psicologia nel servizio sanitario, che può trovare applicazione nella costruzione di una Rete psicologica nazionale fortemente ancorata al territorio.
Il contributo illustra i risultati raggiunti, tra ottobre 2019 a dicembre 2023, dal servizio di psicologia delle cure primarie del Distretto Padova Sud dell’AUlss Euganea del Veneto. Le azioni che lo psicologo attua sono: consulenza, limitata a max 3-4 colloqui; percorso di supporto psicologico/psicoterapia breve (max 10 colloqui); invio ai servizi specialistici, in caso di problematiche maggiori. L’articolo presenta i risultati raggiunti dal servizio (finanziato dal Comitato dei Sindaci e dalla Fondazione CARIPARO) al quale le persone accedono gratuitamente, soprattutto su invio dei MMG. La maggior parte delle persone effettua un percorso di psicoterapia breve o si limita alla fase consulenziale. Dei 170 pazienti inviati ad altri servizi per una presa in carico specialistica, la maggior parte è stata indirizzata ai Servizi per la salute mentale o ai Servizi per la donna, la coppia e la famiglia. Le problematiche maggiormente identificate sono relative ad aspetti ansiosi o depressivi, oltre che conflitti familiari, in linea con le ricerche precedenti. Una analisi sull’esito dell’invio ai servizi specialistici ha mostrato un risultato positivo in oltre il 77% degli invii considerati, con percentuali particolarmente elevate per i servizi per le dipendenze e la Salute Mentale. Questo articolo si colloca all’interno della discussione sulla psicologia del territorio, mettendo in luce il ruolo che può svolgere lo psicologo delle cure primarie nel potenziare i servizi psicologici delle cure primarie e nel migliorare l’intercettazione dei bisogni di cura dei cittadini, in integrazione con gli altri professionisti e servizi.
L’Organizzazione mondiale di sanità (World Health Organization, 2016) ha definito la violenza nelle relazioni intime come un problema di salute pubblica, che diventa tanto più stringente, quanto più sono giovani i/le perpetratori/perpetratrici e le vittime, poiché l’età adolescenziale è un momento cruciale per la costruzione dell’identità personale (Lancini et al., 2020) e per l’organizzazione di pattern relazionali futuri. Come è noto, in adolescenza il processo di individuazione e di emancipazione rispetto alla famiglia di origine si consolida soprattutto all’interno del gruppo dei pari, luogo primario in cui l’adolescente sviluppa le proprie competenze relazionali e stabilisce le prime relazioni affettive. Ed è proprio all’interno di tali relazioni, di gruppo e di coppia, che può vivere, direttamente o indirettamente, episodi di violenza di genere (Beltramini, 2020). Secondo l’ultimo report di Save the Children, nel nostro Paese il 17% delle ragazze e dei ragazzi tra i 14 e i 18 anni pensa possa succedere che in una relazione intima scappi uno schiaffo ogni tanto. Quando si passa dalle opinioni alle esperienze, quasi un/a adolescente su cinque (19%), tra chi ha o ha avuto una relazione intima, dichiara di essere stato spaventato dal/lla partner con atteggiamenti violenti, quali schiaffi, pugni, spinte, lancio di oggetti. Uno dei contesti privilegiati per l’intercettazione del fenomeno della violenza di genere tra adolescenti è la scuola, dove la figura dello psicologo scolastico può rivestire un ruolo centrale, non solo come anello di raccordo tra la scuola e le altre agenzie territoriali che si occupano della presa in carico delle situazioni di violenza, ma anche come promotore di progetti di prevenzione della violenza e di promozione del benessere nelle relazioni tra pari, tanto più incisivi quanto più integrati ed adottati dalla Rete Interistituzionale Territoriale Antiviolenza.
Nel tentativo di rispondere coralmente alle sfide che la professione psicologica nell’ambito della salute oggi impone, inclusa quella di tentare un aggancio tra il piano teorico e quello pragmatico, le Scuole di Specializzazione universitarie in Psicologia della Salute sono impegnate da alcuni anni in un lavoro di confronto e collaborazione, che sta avviandosi verso la formalizzazione di un accordo interateneo a livello nazionale (Memorandum of Understanding, 2025). Nel rispetto delle culture e delle storie locali, l’obiettivo è quello di contribuire a delineare l’ancoraggio teorico-pratico della psicologia della salute e rafforzare l’orientamento e la presenza professionale in questo ambito, attraverso un processo di allineamento delle traiettorie formative tra le Scuole. In questo scenario si colloca la proposta del presente articolo, lavoro a più mani ispirato dalla Call “Psicologia di territorio: una rete integrata per il benessere psicologico”, che ci offre la possibilità di organizzare le esperienze e i pensieri che, come Direttrici e Direttori delle Scuole, abbiamo maturato in questo settore e discutere di questioni che rimangono aperte ma sicuramente in evoluzione.
Il caso approfondisce il percorso di Change Mangement Strutturale svolto in Farmacap, l’Azienda Speciale di Roma Capitale attiva nella gestione delle Farmacie Comunali e di alcuni Servizi Sociali di prossimità. La particolarità di questo caso risiede nell’evidenza di come la lunga crisi economica, attraversata dall’Azienda ininterrottamente dal 2014 al 2021 (periodo nel quale la stessa è stata infatti Commissariata), abbia generato prima e cristallizzato poi una deriva organizzativa strutturata e caratterizzata da un sistema di servizio mal centrato e da un sistema professionale poco sviluppato che ha favorito una variegata organizzazione informale. Il Piano di Risanamento approvato da Roma Capitale nel 2022 ha permesso l’avvio di un importante percorso di Change Management Strutturale che, in 18 mesi, ha toccato tutti gli ambiti aziendali attuando non solo quanto puntualmente definito nel Piano stesso ma utilizzando, come leva per il cambiamento strutturale, un radicale processo di service re-design, l’avvio di un nuovo sistema professionale basato su un mestiere a banda larga aziendale basato su processi di servizio orientati ai risultati ed il consolidamento delle reti territoriali. Il percorso ha permesso di intervenire sulle problematiche rilevate, di cambiare e innovare in modo partecipato l’organizzazione aziendale e avviare il percorso di miglioramento delle performance economiche.
Le politiche aziendali in materia di diversità, equità e inclusione (DEI) stanno acquisendo crescente centralità anche nel contesto italiano, sebbene siano molto spesso sviluppate e analizzate a livello di singola organizzazione. In questo scenario, la contrattazione collettiva può avere un ruolo importante nel promuovere una cultura inclusiva nei luoghi di lavoro, grazie alla sua capacità di legittimare e diffondere pratiche virtuose. Il progetto presentato, condotto nel settore chimico-farmaceutico con un approccio di collaborative research, ha coinvolto ricercatori e attori delle relazioni industriali in un processo di co-produzione della conoscenza, volto a fotografare lo stato dell’arte della DEI nel settore. L’obiettivo era fornire alle parti sociali strumenti concreti e contestualizzati per diffondere politiche di DEI tra le aziende del settore. Il percorso ha portato alla definizione di linee guida settoriali che sono state integrate nell’accordo di rinnovo del CCNL 2025-2028, rappresentando un caso di successo e un modello potenzialmente replicabile in altri settori.
Craft preservation today unfolds within a dynamic and evolving landscape, where artisanal practices are increasingly framed as contributors to innovation, sustainability and territorial development. In parallel, craft governance has become more complex, involving public institutions, professional organisations and private actors such as luxury brands. This paper reviews contemporary preservation policies, identifying four main intervention clusters: certifications and standards, heritage recognition, skills and knowledge transmission, and entrepreneurship and innovation. While these often overlap in practice, they clarify the layered rationales shaping contemporary craft governance. Building on this review, we explore how the preservation of craft is operationalised through hybrid policy designs that address shifting boundaries and broadened expectations surrounding artisanal practice. The paper shows how hybrid configurations are enacted through a case study of Regional Law No. 34/2018 of the Veneto Region without explicit integration. The figure of the Maestro emerges as a carrier of institutional logics and a performative boundary object, stabilising fragmented policy expectations. The findings contribute to debates in organisation studies on institutional pluralism, role work and governance in creative economies.
Il settore logistico figura tra i più citati nei rapporti sull’infiltrazione criminale, segnalando un forte interesse della criminalità organizzata per questo ambito, cruciale tanto per l’economia legale quanto per quella illegale. Una caratteristica strutturale del settore è l’elevata pressione sui costi, in particolare quelli del lavoro, che spinge molte imprese a ricorrere frequentemente all’esternalizzazione, strumento che viene spesso utilizzato anche per eludere normative sul lavoro, consentendo l’accesso a manodopera più economica e soggetta a meno tutele. Tale dinamica è stata agevolata dalla debole presenza storica del sindacato nel settore logistico. Questa ricerca intende analizzare l’impatto della recente crescita della sindacalizzazione sulla relazione tra imprese e criminalità organizzata in un settore caratterizzato dalla presenza criminale. Lo studio si basa su un caso di studio estremo che, in quanto tale, consente di osservare dinamiche altrimenti difficilmente rilevabili. Il caso riguarda l’interazione tra la multinazionale logistica GlobalHubs e il suo subappaltatore LogisticService in un importante polo logistico del Nord Italia, dove è stata segnalata la presenza di organizzazioni mafiose. Attraverso interviste semi-strutturate e l’analisi di documenti giudiziari e articoli di stampa, è emerso che GlobalHubs, per porre fine a uno sciopero prolungato organizzato dal sindacato, ha richiesto l’intervento del crimine organizzato tramite LogisticService, il cui titolare risulta legato ad ambienti mafiosi. L’intervento ha incluso l’invio di lavoratori sostitutivi e l’uso della forza per intimidire e reprimere i lavoratori in sciopero. Il caso solleva interrogativi sul ruolo crescente del crimine organizzato come intermediario nei conflitti tra capitale e lavoro nel settore logistico.
Il presente studio approfondisce le pratiche organizzative adottate dai gestori degli spazi collaborativi per coinvolgere gli attori locali nelle attività offerte dai propri spazi. Grazie a tali pratiche organizzative, gli spazi collaborativi emergono come attori di “intermediazione” che ricoprono un ruolo semi-pubblico e facilitano le relazioni tra attori locali e policy maker, supportando in tal modo lo sviluppo di un approccio place-based alle politiche pubbliche, in particolare nelle aree interne. I risultati emersi dallo studio qualitativo condotto su uno spazio collaborativo gestito da un’associazione attiva in un comune italiano di area interna (“Start Working Pontremoli”) hanno evidenziato tre specifiche pratiche organizzative finalizzate, rispettivamente, all’attivazione di una comunità di professionisti sul territorio, all’ancoraggio delle iniziative dello spazio alla più ampia comunità locale e all’abilitazione del territorio a progettare e ospitare nuove attività e servizi. Tali pratiche organizzative illustrano i diversi modi in cui i gestori degli spazi collaborativi possono facilitare le relazioni sia all’interno sia all’esterno dei propri spazi, sviluppare nuove iniziative capaci di coinvolgere i diversi attori locali e accrescere il patrimonio di conoscenze presente sul territorio. Attraverso queste pratiche organizzative, dunque, l’azione degli spazi collaborativi si pone in coerenza con gli obiettivi delle politiche place-based volte a mitigare i trend negativi delle aree interne.
This paper draws on the “generative dance” metaphor to propose a methodological perspective to study the more-than-human world, where human beings and non-humans (artefacts, animals, matter) are entangled. This metaphor builds upon two well-known methods in interpretive organization studies literature: organisational ethnography and the study of talk. The main argument of this article is that ethnography and the study of talk, often considered two distinct methods, can instead entangle in a generative dance that shapes a new perspective on researching (encompassing research design, data collection and analysis, along with ethical issues). In line with a posthuman understanding of the world, and given current developments in ethnographic research, this article posits that researchers are active participants in this dance and there is a process of mutual constitution between researcher and the world which is researched. Using practice theory as a metatheoretical frame of reference, the paper presents four scaffolds which support the following movements: where to dance, learning to dance, mastering the dance, and experimenting with new moves. Thus, the paper encourages researchers to engage with the field so to produce accounts which are able to unveil unnoticed features of the more-than-human. The paper also calls for an ethical engagement with the field, which requires researchers to enhance awareness of their own position and impact in the more-than-human world.