Nonostante l’ampia documentazione sulla comorbidità tra disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD) e disturbi da uso di sostanze (DUS), il sistema italiano per il trattamento delle dipendenze resta inadeguato nel supportare i soggetti affetti da questa doppia diagnosi. Le comunità terapeutiche – ancora oggi pilastro dell’assistenza residenziale alle dipendenze in Italia – si basano tipicamente su modelli comportamentali rigidi, approcci centrati sull’astinenza e routine di gruppo fortemente regolate. Queste caratteristiche strutturali risultano spesso incongruenti con i profili cognitivi, emotivi e comportamentali dei soggetti con ADHD, portando a esclusioni già in fase di accesso o ad abbandoni precoci del trattamento. Questo commentary mette in luce un punto cieco, tanto strutturale quanto culturale, nel sistema italiano, dove l’ADHD è ancora sottodiagnosticato nella popolazione adulta con DUS e spesso frainteso come mera oppositività comportamentale. Sebbene alcuni servizi territoriali per le dipendenze (SerD) abbiano recentemente introdotto protocolli di screening tramite strumenti come l’Adult ADHD Self-Report Scale (ASRS), la maggior parte dei programmi residenziali resta impreparata ad accogliere i bisogni specifici legati all’ADHD. L’esclusione dei pazienti con doppia diagnosi ADHD–DUS dalle comunità terapeutiche rappresenti un vuoto sistemico nell’assistenza, che compromette sia l’efficacia del trattamento sia il principio di equità. Il presente contributo invoca un cambiamento multilivello: riconoscimento clinico dell’ADHD nei contesti delle dipendenze, adattamenti strutturali nelle comunità terapeutiche, e incentivi politici per promuovere percorsi di cura inclusivi ed evidence-based. Integrare approcci sensibili all’ADHD nei modelli esistenti non è più un’opzione – è un imperativo clinico ed etico. Colmare questo divario migliorerebbe non solo gli esiti del trattamento, ma anche la tutela del diritto alla cura per una popolazione colpita in modo sproporzionato da comorbidità e stigma.