Esiste ancora oggi un problema di legittimazione storiografica della metodologia della storia orale nell’università italiana. Non solo la storia orale è poco praticata da chi studia la storia contemporanea, ma anche gli archivi orali già esistenti non sono consultati da ricercatori e ricercatrici che pure sarebbero tenuti a farlo per il tipo di ricerche che conducono. Le sintesi storiografiche recenti di storia dell’Italia repubblicana scritte da autori italiani non fanno uso di fonti orali né fanno riferimento alla storiografia che le ha utilizzate. In Italia non esistono libri che affrontano la storia sociale del Paese nel lungo periodo utilizzando in maniera sistematica le fonti orali. Anche nell’ambito degli ego-documenti usati in storiografia, in Italia le “scritture autobiografiche” (lettere, diari, memorie di gente comune) hanno ottenuto uno spazio di legittimazione molto maggiore rispetto alle fonti orali. Tutto ciò ha almeno tre spiegazioni. In primo luogo, lo scarso sviluppo dei sound studies nella storiografia italiana, le pratiche di ricerca e l’approccio di molti storici italiani dell’età contemporanea, i quali privilegiano la storia politica istituzionale e hanno poco interesse per la storia sociale e per la storia dei soggetti collettivi (le donne, i lavoratori, le periferie). Ma c’è anche un problema legato anche alle condizioni in cui si trovano gli archivi di fonti orali: essi sono poco accessibili e non hanno gli strumenti che ne facilitano l’utilizzo: cataloghi, indici, schede, trascrizioni. Manca, infine, una esperienza collaudata e condivisa di riuso storiografico delle “fonti orali d’archivio”, cioè delle interviste fatte da altri, nel passato, a persone e gruppi sociali che non sono più nella disponibilità ricercatori del presente.