Da un punto di vista psicoanalitico, dobbiamo registrare la scarsa presenza di simboli del fascismo nei sogni e nelle libere associazioni dei nostri pazienti. Riferimenti al fascismo compaiono quando emergono emozioni relative a un’individualità calpestata da un fascismo che negava il fondamento gruppale del soggetto umano a due livelli: a quello del singolo, che pure non ne sentiva la necessità, e a quello generale di uno stato che proclamava l’irrilevanza del contributo del singolo alla vita comune, conformata a parametri centrali imposti (divise, lingua, comportamenti, a cominciare dal saluto fascista). Da un punto di vista psicologico il fascismo finiva per essere la duplicazione a livello centrale di un sentire diffuso che può essere espresso con queste parole: "Faccio quello che voglio". Alcuni autori (Bleger, Kaës) ci hanno aiutati a comprendere il fondamento inconscio gruppale necessario, presente in ciascuno, reso inaccessibile e rifiutato da un regime che ha proposto l’arbitrio del singolo e l’estraneità delle istituzioni. Dopo la fine del Fascismo, alcune istituzioni hanno iniziato a promuovere un senso di appartenenza comune condivisa (Costituzione, Statuto dei lavoratori, Media Unica, legge Basaglia), ma il processo, ancora in fieri, è bloccato da vincoli affettivi che ostacolano lo sviluppo del senso di appartenenza stesso, cristallizzandolo in "oggetti" concreti. Le strutture sociali, solide, belle, leggere, ci sono necessarie per esistere e svilupparci come soggetti sani e creativi, e richiedono manutenzione e rinnovamento. Il rinnovamento può essere ostacolato dall’angoscia di intercettare residui di ideologia fascista, che ha propagandato l’arbitrio dell’uno, eretto a rappresentare l’interesse collettivo, contro la volontà plurale di molti, che per vivere e per esprimersi necessitano anche di strutture di sostegno e funzionamento valide.