Il concetto e l’esperienza umana del dolore sono cambiati nel corso della storia dell’uomo: se per gli antichi greci, così come anche nella Bibbia, il dolore faceva parte della vita e come tale era accettato, oggi invece esso viene rifiutato come elemento esistenziale estraneo, da eliminare il più presto e il più efficacemente possibile. La scienza medica ha fatto grandi passi in questa direzione, ma la possibilità di attenuare o annullare il dolore fisico non ci esime dalla necessità di riflettere sul vero senso della sofferenza, intesa come aspetto ineliminabile della condizione umana. La percezione della sofferenza dipende non solo dalle caratteristiche personali dell’individuo, ma anche dal contesto socioculturale in cui egli è inserito, variabili che condizionano anche la capacità di comprensione della sofferenza dell’altro. Quanto più un sistema - persona o società - è complesso, tanto maggiore sarà la sofferenza da esso percepita. In definitiva, è inevitabile sia che l’uomo soffra sia che ricerchi la cancellazione della sofferenza: una dicotomia, questa, che acquista un suo senso e una prospettiva di risoluzione solo tramite l’apertura ad una dimensione più ampia ed elevata rispetto a quella puramente fisica. In quest’ottica, la lotta - umana in generale e medica in particolare - contro sofferenza e dolore assume una connotazione non solo di utilità immediata, ma anche di importante significato ultimo.