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Questo articolo vuole essere uno stimolo di riflessione circa il tema della scelta di mantenere o rivelare un segreto familiare. Partendo dall’analisi di un caso clinico, si cercherà di evidenziare come possano coesistere sia la necessità di protezione - propria di chi detiene il segreto - e quindi di non rivelazione, sia l’inevitabilità di condividere ed esplicitare le informazioni, mettendole a conoscenza di chi prima veniva escluso dal segreto, per il benessere personale del paziente e dell’intero sistema familiare. Queste due scelte verranno considerate come estremi di un continuum dove la possibilità di optare per una o l’altra strategia possono variare per tempi e modalità caso per caso.
La famiglia adottiva, con le sue particolari caratteristiche di multiculturalità, evidenzia l’importanza dei significati attribuiti da ciascuno alle parole e ai comportamenti, da cui deriva la necessità di lavorare alla costruzione di significati condivisi. L’Autrice, analizzando i differenti livelli in cui si possono verificare le difficoltà di comprensione tra adottanti e adottati, propone alcune riflessioni ed esempi clinici sull’utilizzo del Modello delle Realtà Condivise nei casi di adozione, oltre a evidenziarne l’utilità nel lavoro di ricostruzione delle storie e delle identità di questi minori.
Il compimento di un reato da parte di un minorenne è un evento critico che scaturisce da specifiche motivazioni nel ragazzo ed elicita nella sua famiglia specifiche reazioni: a partire dalla propria esperienza clinica l’Autore propone una originale classificazione sia delle motivazioni individuali alla base del gesto criminale che delle possibili reazioni della famiglia. Inoltre, considerando le note difficoltà che si incontrano nel lavoro psicologico con questi giovani, propone una metodologia di intervento che ridisegna in modo strategico le regole della gestione della privacy sui contenuti dei colloqui, la considerazione della committenza e l’utilizzo della strumentalità del paziente in terapia.