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Fabio D’Amelia

La funzione di un sogno nel percorso formativo

PSICOTERAPIA PSICOANALITICA

Fascicolo: 1 / 2020

L’autore, recuperando il testo di un personale sogno prodotto duran-te il primo anno di formazione psicoanalitica, integra le elaborazioni dell’epoca alla luce dei contributi teorici che nel tempo sono emersi in-torno al fenomeno onirico. Con la riconsiderazione in après coup dell’analisi di allora, e l’esperienza maturata negli anni all’interno dell’Istituzione Psicoanalitica, ipotizza di poter riconoscere delle costanti nei vari passaggi forma-tivi che l’allievo attraversa lungo il training. La descrizione segue così un doppio registro: una lettura più articolata del sogno di un tempo sembra consentire la riflessione su alcuni aspetti riguardanti l’interazione dei candidati psicoterapeuti con l’Istituzione di appartenenza.

Andrea Giovannoni

La psicoanalisi e il blues: una strana coppia a confronto

PSICOTERAPIA PSICOANALITICA

Fascicolo: 1 / 2020

Dopo aver descritto l’origine del blues e i motivi della sua nascita, sono esposte le analogie fra i modi di ascolto in psicoanalisi e nella musica. Sono presi in considerazione i primi lavori di Reik e Fliess per poi passare a quelli di Schafer, terminando con alcuni concetti psicoanalitici comuni alla comunicazione non verbale. Seguono alcune considerazioni sull’argomento prima di porre l’accento sull’analogia fra la funzione fondamentale della musica e della psicoanalisi, che si basa sull’interpretazione e l’improvvisazione. Secondo Kohut la musica, per il suo modo di comunicazione più primitivo, è collegata al processo primario mentre le parole, che sono più superficiali, sono connesse al processo secondario. Quando ascoltiamo un brano di blues, come in psicoanalisi, si crea-no, infatti, i presupposti per favorire lo sviluppo di un pensiero onirico della veglia che, attraverso una rêverie acustica, riporta alla luce il trauma della sofferenza degli schiavi, che si riflette nelle esperienze personali del terapeuta e nelle sue passioni e fa assumere al sogno, come sosteneva Ferenczi, una valenza "traumatofilica", rendendo me-no traumatiche le esperienze del passato. L’ascolto di un brano di blues ci rimanda alla "Teoria dell’Illusione Estetica" di Kris, che protegge gli individui dalle loro paure reali favo-rendo, come nel blues, la nascita di sentimenti che in altre condizioni esiteremmo a permetterci. Prima di terminare con due vignette cliniche, esplicative di come imparare a suonare un buon blues o andare fuori tempo, è descritto il ruolo del setting in psicoanalisi che è simile alle sue dodici battute, che si ripetono in maniera precisa e monotona permettendo che al suo in-terno si sviluppi una narrativa (libere associazioni), improvvisata con le cinque scale pentatoniche.

Carlo Arrigo Umiltà

Le neuroimmagini: il sogno tradito del "riduzionista"?

PSICOTERAPIA PSICOANALITICA

Fascicolo: 1 / 2020

Alla fine del XX secolo diventò possibile osservare la struttura di un cervello umano vivente e, pochi anni dopo, fu possibile osservarne an-che le attivazioni. Ne derivò la convinzione che fosse possibile osser-vare "il cervello al lavoro", "vedere", cioè, quali parti del cervello era-no attive mentre un soggetto aveva esperienza dei contenuti mentali. Ci si convinse, perciò, che si potesse accedere a quelle aree del cervello che producono la mente, "vederle mentre producono la mente". Pur-troppo, anche se si è convinti, come lo sono io, che la mente sia il prodotto del cervello, va riconosciuto che l’idea di essere attualmente in grado, attraverso le neuroimmagini, di "vedere il cervello al lavoro" è fuorviante. Per prima cosa, le neuroimmagini si basano sull’assunzione di "modularità". Sull’assunzione, cioè, che le funzioni mentali siano ascrivibli a specifiche aree cerebrali. Purtroppo, la modularità non è il solo modo plausibile di concepire il rapporto fra funzioni mentali e strutture cerebrali. L’assunzione di modularità, poi, diventa utile soltanto se il ricercatore ha a disposizione strumenti per stabilire con precisione quali aree cerebrali sono attive mentre il soggetto sta svolgendo un compito. Le tecniche attuali non sono ancora in grado di farlo e molti sono i problemi irrisolti quando si interpretano le neuroimmagini. Un’altra difficoltà è che le caratteristiche del compito svolto dal sogget-to devono essere note nei dettagli. Invece, la natura delle operazioni che compongono una funzione mentale, e il loro decorso temporale, sono spesso ignote. Infine, anche assumendo che le altre condizioni siano ottemperate, si riuscirebbe semplicemente ad attribuire certe fun-zioni mentali a certe aree cerebrali. In altre parole, saremmo in grado di "localizzare" nel cervello le funzioni mentali. Purtroppo "localizzare" non vuole dire "spiegare". Anche se fosse possibile attribuire certe funzioni mentali a certe aree cerebrali, il valore esplicativo di questa operazione sarebbe dubbio. Per spiegare una funzione mentale è di scarso aiuto sapere il luogo nel cervello dove viene realizzata. Una vera spiegazione richiede essere precisi e dettagliati riguardo ai meccani-smi dai quali dipende.

L’autrice ripercorre le tappe di sviluppo del pensiero psicoanalitico di Fachinelli, analizzando i temi trattati nelle sue opere principali (La freccia ferma, Claustrofilia, La mente estatica). Mette in luce il suo procedere dalla posizione classica, che attribuisce al lavoro psicoanali-tico il compito di rendere Conscio il desiderio inconscio superando le barriere delle difese, verso una visione dinamica del dialogo analitico, rivolto ad ampliare le dimensioni e le esperienze psichiche del sogget-to. Infine l’autrice evidenzia il carattere anticipatorio del pensiero di Fachinelli rispetto ad autori successivi (Ogden, Ferro, Roussillon, Bol-las) che sono andati oltre nel descrivere il funzionamento della mente dell’analista in seduta, rivolta ad attivare le dinamiche contenitore-contenuto.

Anna Lisa Curti

Il sogno nel deserto: ascoltando le Muse

PSICOTERAPIA PSICOANALITICA

Fascicolo: 1 / 2020

Alla latitudine del deserto psichico la sabbia si impossessa dei sensi del terapeuta e ne colonizza la mente, tanto che il lockdown emotivo, nonché la desertificazione della speranza, bloccano la capacità di so-gnare dell’analista. Nel caso presentato, l’inizio del lavoro terapeutico avviene quando l’autrice trova delle tracce di vita autentiche sepolte in una tana nel deserto psichico del paziente. La prima fase del percorso è possibile ascoltando le Muse, creando "impianti" ed "irrigazioni musi-cali" che permettano ai germogli di crescere. L’ascolto delle Muse e la condivisione di una comune passione permettono all’autrice di recupe-rare vitalità e creatività che consentono al paziente di strappare terreno al processo di desertificazione e di rendere coltivabile parte dei territo-ri.

Anna Carla Aufiero

L’estraneo in casa: il sogno, la rêverie, l’allucinatorio

PSICOTERAPIA PSICOANALITICA

Fascicolo: 1 / 2020

L’autrice, a partire da alcune associazioni riguardo a cinema, storia e letteratura, prende in esame le vicissitudini della coppia paziente-terapeuta all’interno del campo analitico. In particolare, osserva a quanti e quali livelli può avvenire lo scambio di contenuti inconsci lungo una immaginaria linea ascendente che va dalla percezione soma-tosensoriale o allucinatoria, espressione di elementi indigeribili e irrappresentabili, fino al sogno, quindi al rappresentabile e simbolizzabile. A conforto di ciò vengono riportati alcuni esempi clinici nei quali l’analista si trova nella condizione di sentire-per e di non sapere. Infatti l’irrompere nel campo analitico di elementi beta, percepiti in varie forme e sconosciuti al paziente quanto all’analista, sono percepiti come estranei, incomprensibili poiché rappresentano stati mentali primitivi che l’analista deve contenere in uno spazio intermedio dove non c’è possibilità di agito né di pensiero, ma solo di contenimento e attesa. Questo consente il ripristino, a tempo debito, della funzione alfa dell’analista e la riattivazione di quella del paziente. L’autrice, inoltre, esamina gli elementi dimensionali del campo analitico, mostrando come, oltre ai reciproci movimenti intrapsichici, la costruzione del campo possa estendersi anche ad altri soggetti a vario titolo coinvolti che possono entrare a far parte del processo analitico con i propri Inconsci.

Vincenza Laurora

Il "doppio sogno" dell’analista: dal controtransfert all’autoanalisi

PSICOTERAPIA PSICOANALITICA

Fascicolo: 1 / 2020

L’autrice racconta il processo di rielaborazione interiore messo in moto da un’esperienza di impasse nella scrittura clinica sul tema delle maternità eterologhe. A partire da un sogno di controtransfert, l’elaborazione necessaria a differenziare le componenti del legame co-stituitosi tra analista e paziente nel corso della cura, acquista la forma di un complesso travaglio che l’autrice, prendendo spunto dal racconto di Schnitzler Doppio sogno, chiama il "doppio sogno" dell’analista. L’argomentazione segue lo sviluppo di una catena associativa che lega insieme esperienza personale, esperienza clinica e riferimenti teorici e sfocia in una arricchente esperienza autoanalitica.

Fred Busch

Le reverie dell’analista: esplorare l’enigma

PSICOTERAPIA PSICOANALITICA

Fascicolo: 1 / 2020

La reverie come strumento clinico nella stanza d’analisi si è dimostrata potenzialmente in grado di svelare contenuti altrimenti destinati a rimanere inespressi. L’autore sottolinea la complessità di questo concetto, passando in rassegna i contributi di alcuni autori post-bioniani ed evidenziando importanti differenze nel modo in cui la reverie è defini-ta e utilizzata clinicamente. L’autore esplicita quindi il proprio modo di intendere questo concetto chiave della psicoanalisi contemporanea, an-che attraverso un’esemplificazione clinica.

Adriana Gagliardi

Editoriale

PSICOTERAPIA PSICOANALITICA

Fascicolo: 1 / 2020

In questo editoriale il Direttore annuncia il progetto di dedicare il prossimo numero, in uscita in dicembre, all’emergenza del contagio che stiamo vivendo. Questo progetto, che prima si era pensato di anticipare in un forum in questo numero, è stato poi rinviato: in questo modo, prima di formulare una riflessione teorico-tecnico-clinica sulla psicoterapia dell’emergenza, si vuole sostare nella "capacità negativa", mentre si sta vivendo una situazione traumatica insieme ai pazienti e alla comunità. Il tema di questo numero "Il sogno dell’analista", d’altra parte, appare, in questo momento, portatore di "un principio di speranza": quello di riuscire a continuare ad essere "visionari". Questo accade nel processo terapeutico, se la mente psicoanalitica funziona, quando s’intravede l’Inconscio attraverso la rêverie, il sogno della veglia e i sogni del sonno, quando si riesce a dare un possibile senso che viene dall’Inconscio del terapeuta e del paziente. La domanda che viene spontanea è dunque: a chi appartiene il sogno? La libera associazione dell’autrice riporta a L’Aleph di Borges; l’aleph è una sfera roteante che compare all’improvviso all’autore, all’interno della quale prendono forma volti, memorie, immagini potenti raffiguranti il destino e la sua storia soggettiva, ma anche quella dell’umanità. Le sensazioni-percezioni e i pensieri sono così vividi che egli deve rimuovere questa "visione", pur sapendo di averla in mente da qualche parte. Così l’intuizione, la visione, la verità ultima possono "apparire" nella nostra mente, ma poi devono sostare sullo sfondo e costituire il punto di partenza e non di arrivo: bisogna riscoprire la verità soggettiva giorno per giorno. Tutti i lavori di questo fascicolo sono presentati brevemente: essi parlano del sognare con il paziente, sul paziente o su se stessi, attingendo alla propria mente, alle proprie passioni, alle libere associazioni con l’arte, la letteratura, la musica. Questo il denominatore comune che testimonia che il lavoro del sogno è un atto creativo che tocca le passioni e i desideri di ogni analista e che ha le sue radici in quello che la sua mente elabora in relazione ai suoi interessi soggettivi e al mistero dell’incontro con l’altro.

Il lockdown imposto dall’epidemia di coronavirus ha generato un esperimento esteso senza precedenti: tutti quelli che potevano non sono più andati sul luogo di lavoro ma hanno lavorato da casa. Lo smart working (o home working, remote working, WFH Working from Home, lavoro agile, telelavoro), come modalità di lavoro che consente di lavorare anche fuori dalla sede dell’organizzazione di appartenenza e che noi chiameremo lavoro ubiquo, è da oltre venti anni materia di controversie e di esperienze pilota limitate. Questo esperimento di massa servirà ancora nelle fasi 2 e 3 dell’emergenza. Dopo l’emergenza potrà consolidarsi e diffondersi solo se lo smart working o lavoro ubiquo sarà progettato e gestito con rigore, metodo e appropriatezza ai diversi contesti, scegliendo la giusta proporzione fra lavoro in sede e lavoro remoto. Come fare? Intervenendo sulle norme, sulle tecnologie di supporto, sul modo di gestire lavoro e vita, sul mindset, ma soprattutto sulla concezione degli uffici, sulla loro organizzazione, sul lavoro, sul rapporto tra capi e collaboratori e soprattutto sui processi di job e organization design and crafting. Il modo per gestire questo cambiamento richiede progettazione e sviluppo congiunti di tecnologia, organizzazione e lavoro condotti con la massima partecipazione di imprese, istituzioni, istruzioni, sindacati e soprattutto dei lavoratori. Questo va fatto ispirandosi anche a casi di successo sviluppati in questi anni. Questo articolo si concentra soprattutto sul necessario e possibile cambio di paradigma degli uffici, dell’organizzazione, del lavoro. Un lavoro ubiquo e uffici blended fra il fisico e il virtuale possono funzionare bene a tre condizioni socio- organizzative: a) superare la concezione dell’ufficio-fabbrica; b) favorire organizzazioni basate su sistemi sociotecnici orientati a obiettivi produttivi e sociali misurabili e sulle 4C (Cooperazione autoregolata, Condivisione delle conoscenze, Comunicazione estesa, Comunità performante); c) ridisegnare il lavoro sui ruoli e sulle professioni superando mansioni, posizioni e livelli. L’ascolto e l’apprendimento delle esperienze positive e negative del lavoro a casa imposta dal lockdown possono essere un acceleratore del profondo cambiamento iniziato da tempo. Società di consulenza, di informatica, università si stanno esercitando a individuare gli ingredienti e gli strumenti dello smart working del futuro. Apprezzabili gli interventi tecnici settoriali. Ma per diffondere lo smart working/lavoro agile/lavoro ubiquo a livello nazionale è richiesto un approccio sistemico governato dagli stakeholder dell’impresa o della pubblica amministrazione. Le nostre proposte riguardano in primo luogo i metodi e i modelli con cui progettare e gestire lo smart working e in secondo luogo il lancio di: a) una grande programma di ricerca multidisciplinare " smart working" che si è svolto durante e subito dopo il lockdown, programma che va condotto collaborativamente dai centri di ricerca e dalle università italiane, in forte rapporto con l’Europa; b) un programma di supporto alle PMI e alla Pubblica Amministrazione offerto dalle università, società di informatica, consulenza, formazione, interior design con modalità e costi sostenibili. Destinatari della prima proposta sono le aziende e le Pubbliche Amministrazioni e i loro stakeholder; destinatari della seconda sono il mondo della ricerca e il mondo delle politiche pubbliche che attivino patti fra istituzioni e corpi intermedi.

La legittimazione del welfare-mix riconosce al "contratto" (nelle sue diverse configurazioni) il ruolo di intermediario nella messa in opera delle politiche, separando in qualche modo lo spazio del coordinamento da quello della gestione ma ponendo, allo stesso tempo, indubbie sfide di cooperazione tra le parti: la Pubblica Amministrazione che programma e coordina i servizi di cui mantiene la responsabilità, il Terzo Settore che sempre più spesso li gestisce e l’utenza finale, portatrice del bisogno.Il contratto definisce non solo i termini di uno scambio, ma anche uno spazio formalizzato all’interno del quale si va informando la relazione tra più soggetti. Questa relazione ha una dimensione processuale, si sviluppa nel tempo e retroagisce sui soggetti coinvolti, anche a livello organizzativo: sui processi decisionali, sui flussi informativi ma anche sulla pre-ordinabilità delle azioni e sulla discrezionalità dei lavoratori impiegati nell’esercizio delle proprie attività. Queste dinamiche emergono con evidenza quando l’oggetto del contratto è un servizio a rilevanza pubblica - di cui la Pubblica Amministrazione detiene cioè la responsabilità dell’erogazione - come i servizi sociali. Il dispositivo di governo (appalto, co-progettazione, convenzione), utilizzato per regolare questa relazione, acquisisce dunque un particolare interesse per l’indagine, soprattutto nelle sue conseguenze operative.La proposta si focalizza sull’analisi micro-organizzativa di "Punto d’Accordo", centro per la mediazione dei conflitti del Comune di Modena gestito dalla Cooperativa Mediando. Partendo dal capitolato di appalto, che definisce la cornice normativa dello scambio, si procede all’analisi dell’organizzazione del lavoro rispetto a diverse dimensioni: discrezionalità e pre-ordinabilità delle azioni, autonomia decisionale, coordinamento. Si ripercorrono le scelte organizzative e i dispositivi messi in campo da ciascuno dei due contraenti, attraverso interviste ai lavoratori, in base al ruolo ricoperto nell’organizzazione e si enucleano i principali punti critici nell’erogazione. La stessa natura del servizio - mediazione sociale e di comunità - pone interessanti interrogativi sulla standardizzazione e sulla natura pubblica delle attività oltre che sul valore della co-costruzione dell’intervento tra Pubblica Amministrazione, Gestore Terzo e cittadinanza.Il caso studio, circoscritto nelle dimensioni, rappresenta un esempio di come sia necessario riconfigurare ruoli e processi nelle prestazioni ad alto impatto sociale e pubblico, ponendo interrogativi generalizzabili a un livello più macro. Al centro c’è il ruolo degli operatori - tanto della Pubblica Amministrazione quanto della Cooperativa - e l’esperienza condivisa all’interno di una "istituzione ibrida".

In the last few decades, inclusion has captured the attention of corporate leaders and prominent researchers. Business organizations, as non-spontaneous social systems, are particularly prone to be non-inclusive venues due to diversity among organizational populations which consist of groups of coworkers who are usually not entitled to choose their colleagues. This paper aims to enrich the understanding of inclusion within organizations, investigating its social dimension (the extent to which individuals feel woven into the social fabric of their organization) and the occupational dimension (the extent to which organizational members are involved in critical organizational processes). Building on the different bodies of literature on diversity and inclusion, leadership, human resource management, and organizational culture, the present study develops a conceptual framework on the dynamics of inclusion at the individual-organization level, emphasizing the roles of leadership and human resource management practices in establishing an inclusive culture and the subsequent synergistic inclusion of diversity within the workplace.

Nel corso degli ultimi anni i sistemi di welfare europei a livello sia nazionale che locale, hanno subito delle rilevanti trasformazioni prodotte dai cambiamenti socio-demografici, dall’emersione di nuovi bisogni e dalla contrazione/diminuzione delle risorse disponibili. In questo quadro l’assetto organizzativo del welfare che pertiene gli attori coinvolti, le risorse impiegate, i rapporti di collaborazione, la programmazione e l’erogazione dei servizi ha assunto ancora più rilevanza. Questo è ancor più evidente a livello locale, dove la territorializzazione del welfare ha spostato la programmazione/erogazione dei servizi verso il livello di governo più prossimo ai cittadini, in vista di una maggiore personalizzazione delle prestazioni. Questo processo di territorializzazione cosa ha comportato sia in termini di assetti organizzativi sia di disegno delle policy? Con quale strumento analitico può essere interpretato? Lo strumento analitico del governance network sembra fornire gli strumenti più adatti per comprendere una delle nuove traiettorie dell’organizzazione del welfare a livello locale, cogliendo il passaggio dalla semplice logica della messa in rete a quella della costruzione di strumenti di governance più articolati, stabili ed efficaci. Stabilito il quadro teorico e quindi la chiave interpretativa, l’articolo prenderà in esame come caso studio l’esperienza peculiare dei Piani di Zona in Regione Lombardia con particolare attenzione al percorso evolutivo culminato con la più recente linea di indirizzo per la programmazione regionale emanata dal governo regionale lombardo. L’idea è che tale cambiamento possa essere efficacemente spiegato utilizzando gli strumenti analitici forniti dal framework della governance network.

Maria Rita Tagliaventi, Donato Cutolo

Betwixt and between: la liminalità nelle nuove forme di lavoro

STUDI ORGANIZZATIVI

Fascicolo: 1 / 2020

La liminalità, intesa come transizione da uno stato o ruolo pregresso a uno futuro, rappresenta una lente di interpretazione di crescente rilevanza dei fenomeni organizzativi. Originariamente formulata nell’ambito dell’antropologia, la liminalità è contraddistinta, nell’elaborazione di Victor Turner, da alcuni elementi: la presenza di riti, cerimonie e simboli che accompagnano il passaggio, marcandone inizio e fine; una mutata percezione di spazio e tempo rispetto al passato e a coloro che non vivono un’esperienza simile; la costruzione di legami forti, riconducibili alla formazione di una comunità, tra individui che condividono la medesima esperienza; un’articolazione di ruoli, norme e routine che differiscono da quelli prevalenti nei contesti regolari e che danno luogo a un’anti-struttura; un processo di revisione di identità personale e sociale. La trasformazione in atto dei processi di lavoro ha reso la liminalità un costrutto atto a interpretare vari contesti nei quali gli individui si sentono sospesi tra più organizzazioni o ruoli, senza appartenere davvero a nessuno di essi. Sono state ricondotte a esperienze liminali infatti alcune forme di lavoro contingente come il lavoro a contratto e a progetto, l’affiliazione a più organizzazioni contemporaneamente, lo svolgimento di più ruoli per un’organizzazione e i percorsi di carriera multipla, ma anche situazioni straordinarie legate alla necessità di affrontare eventi imprevisti. Le interpretazioni fornite dalle esperienze liminali organizzative evidenziano, da un lato, come non tutti gli elementi della liminalità della rappresentazione Turneriana siano salienti in questo ambito e, dall’altro, ne siano proposti di nuovi, come lo sviluppo di competenze e le pratiche individuali. L’applicazione della lente interpretativa della liminalità ai fenomeni organizzativi segna pertanto una marcata differenza rispetto alla riflessione antropologica che può comportare un arricchimento del costrutto, ma anche il rischio potenziale di un suo indebolimento per la sovrapposizione con altri costrutti. Nell’equilibrio tra aderenza all’elaborazione originale, soprattutto a quel "sentirsi tra e in mezzo" che è la natura della transizione, e spunti innovativi risiede il potenziale della liminalità di affermarsi come costrutto in grado di agevolare la comprensione di processi di lavoro contemporanei.

Lia Tirabeni, Francesco Miele

Tecnologie digitali e potere nelle organizzazioni: dinamiche di controllo ed effetto "contraccolpo"

STUDI ORGANIZZATIVI

Fascicolo: 1 / 2020

Attraverso una ricognizione concettuale della letteratura, il lavoro discute la relazione potere-tecnologia-organizzazione considerando due pratiche abilitate da tecnologie digitali: il lavoro da remoto e il monitoraggio sul lavoro. I due casi di pratiche lavorative tecnologicamente supportate permettono di ritornare a tematiche classiche del dibattito organizzativo, quali l’analisi delle dinamiche di controllo emergenti con l’introduzione di tecnologie digitali e le conseguenze sul potere preesistente. Con la metafora del contraccolpo si mostra che l’opportunità di esercitare un controllo più pervasivo sulla forza lavoro non si traduce automaticamente in un rafforzamento delle asimmetrie di potere. Al contrario, tale controllo potrebbe innescare nuove forme di riappropriazione del potere da parte dei lavoratori.