RISULTATI RICERCA

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Fabio Fiore

Rincorrere o resistere? Sulla crisi della scuola e gli usi della storia

PASSATO E PRESENTE

Fascicolo: 52 / 2001

Nella rubrica Storia e scuola, Fabio Fiore discute sulla crisi della scuola e sull’insegnamento della storia. Ripercorrendo le linee del dibattito sul tema, l’A. individua due partiti contrapposti, definiti partito della resistenza e partito della rincorsa, divisi da una diversa nozione di cultura: per coloro che "resistono", la scuola deve attrezzarsi per difendersi da una cultura che i mass media rendono sempre più di massa; per coloro che "rincorrono", invece, occorre far leva proprio sulle potenzialità formative dei media per approdare a una scuola veramente di massa.

Franco Amatori

Fiat 1899-1999. Riflessioni sulla grande impresa in Italia

PASSATO E PRESENTE

Fascicolo: 52 / 2001

In Interventi, Franco Amatori illustra alcuni studi recenti sulla Fiat, soffermandosi in particolare sul volume di Valerio Castronovo, che tratta della storia della più famosa industria (non solo automobilistica) italiana, dalla sua fondazione ai giorni nostri. Per molti aspetti, secondo l’A., la storia della Fiat coincide con quella della società italiana.

Carlo Pazzagli

Giorgio Giorgetti tra teoria marxiana e storia

PASSATO E PRESENTE

Fascicolo: 52 / 2001

Nella rubrica Storici contemporanei, Carlo Pazzagli riflette sulla figura e sull’opera di Giorgio Giorgetti. Ponendo al centro dell’indagine gli studi su capitalismo e agricoltura in Italia, l’A. ripercorre il continuo e diretto confronto di Giorgetti con le teorie marxiane, sia dal punto di vista teorico che da quello della metodologia della ricerca storica, un caso che Pazzagli definisce quasi isolato nel panorama della storiografia italiana.

Sandro Rinauro

Il sondaggio d'opinione arriva in Italia (1936-1946)

PASSATO E PRESENTE

Fascicolo: 52 / 2001

L'autore analizza la nascita e lo sviluppo in Italia del sondaggio d’opinione. Nella carenza di studi sul valore storico della ricerca demoscopica, l’A. - grazie all’esame di un vasto materiale archivistico - ricostruisce la figura di Pierpaolo Luzzatto Fegiz, fondatore nel 1946 della Doxa, un istituto che stentò a lungo a incontrare l’interesse del mondo politico italiano. Rinauro documenta anche l’interesse, già negli anni Trenta, del regime fascista per i sondaggi promossi negli Stati Uniti d’America da George Gallup.

Luca Angeli

L'istituto podestarile. Il caso di Torino in prospettiva comparata (1926-1945)

PASSATO E PRESENTE

Fascicolo: 52 / 2001

L'Autore ripercorre la storia dell’istituto podestarile a Torino tra il 1926 e il 1945, proponendo anche un confronto con altre situazioni locali italiane. Nel capoluogo piemontese, dove il fascismo si era affermato con una certa difficoltà e lo squadrismo era stato un fenomeno meno radicato che altrove, i podestà furono spesso fedeli alla monarchia, mentre solo nella seconda metà degli anni Trenta vennero alla ribalta, alla guida dell’amministrazione cittadina, fascisti della "prima ora" e rappresentanti della media borghesia produttiva e finanziaria.

Gabriele Turi

Editoriale: Utopia senza futuro?

PASSATO E PRESENTE

Fascicolo: 52 / 2001

Nell’Editoriale, prendendo lo spunto dalla mostra Utopie. La quête de la société idéale en Occident tenutasi a Parigi e a New York, Gabriele Turi riflette sul concetto di "utopia". Questo ha perso, nel corso dell’ultimo mezzo secolo, il suo significato più tradizionale - aspirazione a una profonda trasformazione della società accompagnata dal trionfo della ragione (e del sentimento) - ma soprattutto è diventato oggetto, nell’ultimo decennio, di un dibattito di chiara portata ideologica e politica, alla luce delle profonde trasformazioni avvenute nell’Est europeo. Seguendo le linee interpretative proposte dai curatori della mostra, Turi trova numerose conferme all’attualità del tema "utopia": un termine adottato, ad esempio, in modo fortemente polemico in occasione del crollo del comunismo sovietico.

Adriano Voltolin

Un nuovo libro su Bion, tra biografia e sviluppo del pensiero

COSTRUZIONI PSICOANALITICHE

Fascicolo: 1 / 2001

La biografia di Bion che Fabio Galimberti ha ripercorso, intrecciandola acutamente allo sviluppo del suo pensiero, ci ha dato un libro non banalmente disteso sul lavoro dello psicoanalista anglo-indiano attorno alle questioni della psicosi. Galimberti in questo volume ci restituisce l’immagine più autentica del Bion produttore di un pensiero tra i più acuti che la psicoanalisi postfreudiana ha prodotto. L’apparato per pensare i pensieri, il funzionamento della mente e la formulazione del pensiero emergono dal libro di Galimberti come la dimensione più autentica ed originale della riflessione di Bion. Un aspetto originale dello studio di Galimberti sta nella capacità che egli dimostra di saper sfruttare, almeno nella prima metà del volume, l’intreccio tra biografia e sviluppo del pensiero. In questo passaggio Galimberti vede una vicinanza con il concetto lacaniano di autonomia del significante e di primato del simbolico. Le non poche osservazioni di Galimberti attorno al rapporto di Bion con l’eredità di Melania Klein aprono un campo assai ricco che mi pare vada approfondito da ulteriori studi per quanto riguarda la posizione di Bion all’interno del gruppo kleiniano quando, alla morte di lei, sembrava che dovesse occupare la posizione del caposcuola; posizione insostenibile per lo studioso che aveva sottoposto, nei suoi studi sui gruppi, ad una serrata analisi critica il rapporto tra il mistico e l’istituzione. Sul piano invece dell’eredità concettuale, Galimberti sottolinea acutamente la diversità di Bion rispetto alla Klein in ordine alla nozione di rapporto tra mondo interno e mondo esterno.

Silvia Vegetti Finzi

Un'introduzione a La notte dell'anima

COSTRUZIONI PSICOANALITICHE

Fascicolo: 1 / 2001

Un libro complesso, difficile, che però ripaga il lettore di aver attraversato un terreno tra i più impervi ma anche tra i più ricchi della psicoanalisi, cioè quello del simbolo.Tema del libro in realtà non è tanto il simbolo quanto la simbolizzazione, con tutte le sue complesse peripezie che vanno dalle lusinghe della totalità ("voglio tutto subito" secondo il principio di piacere) alle dilazioni del possibile (principio di realtà). Dall’onnipotenza dell’immaginario alla subordinazione del simbolico alla legge che lo governa. Il titolo del libro non è immediatamente trasparente al lettore. In senso retorico significa fare esperienza del grado zero della comunicazione, cioè affrontare il mutamento catastrofico. "La trasformazione in zero" dice l’autore "corrisponde alla visione cui erano ammessi gli iniziati nei misteri eleusini", quindi c’è qualcosa che compare alla visione. Qui siamo giunti al simbolo come limite, come "non oltre" della conoscenza, come un aldilà che si lascia intuire, come durante i misteri, ma che non si lascia conoscere nel senso razionale del termine. Il riconoscimento del soggetto che si ha alla fine dell’analisi per Lacan non consiste nel gioco dell’intersoggettività. Conclude così Lacan: "Quando vogliamo raggiungere nel soggetto ciò che stava prima dei giochi seriali della parola" "quindi questo punto zero cui tende Bion" "e ciò che è primordiale alla nascita dei simboli, lo troviamo nella morte, donde la sua esistenza trae tutto ciò che di senso essa ha".

Roberto Carnevali

Riflessioni su Sindromi psicosociali

COSTRUZIONI PSICOANALITICHE

Fascicolo: 1 / 2001

Il libro di Di Chiara parte da una prospettiva molto "classica" della psicoanalisi, in cui l’approccio relazionale-esperienziale è una sorta di punto d’arrivo di un percorso; l’Autore individua nella Klein e nella sua teoria degli oggetti interni un punto di svolta dello sviluppo del pensiero neofreudiano, dove per l’appunto si passa da una prospettiva prevalentemente pulsionale al concepire la struttura psichica del soggetto come caratterizzata dall’interiorizzazione di oggetti del mondo esterno, che diventano elementi significativi del suo mondo interno. Il concetto di "sindrome psicosociale" viene proposto per definire una manifestazione gruppale nella quale sono rintracciabili elementi riferibili alla teoresi psicoanalitica che si danno nell’interazione fra i componenti di un gruppo. Molto interessante appare la considerazione sulla non necessaria patologia dei meccanismi che si sviluppano nella cultura del gruppo. Il libro si conclude con un significativo invito alla psicoanalisi a non escludere da sé la dimensione relazionale e gruppale, vedendo nel piccolo gruppo un luogo di elezione per l’applicazione di una terapia centrata sulla relazione, e sottolineando l’importanza a vari livelli del confronto non solo intragruppale, ma anche intergruppale, pensando a gruppi che vanno da quelli di psicoanalisti o comunque di operatori del campo psicologico ai grandi gruppi etnici e alle popolazioni. Per quanto si muova in un percorso che tende ad avvicinare la psicoanalisi ai gruppi, l’Autore propone comunque una chiara distinzione fra l’analisi dell’individuo e quella in (o di) gruppo; le analogie sono comunque analogie, e il tipo di conoscenza che si può ottenere di sé in un lavoro di gruppo viene presentato come di un altro genere rispetto a quello che si può ottenere in un’analisi individuale.

Monica Samaniego

Psicoanalisi e postmodernità. Eric Laurent e il sintomo nel mondo di oggi

COSTRUZIONI PSICOANALITICHE

Fascicolo: 1 / 2001

Quali sono gli effetti che un’epoca imprime sulla psicoanalisi? In "Funzione e campo della parola e del linguaggio" Lacan segnala una direzione: in questo scritto egli parla dell’opera dello psicoanalista e porta, in relazione alla sua funzione, un riferimento esplicito: "Meglio che rinunci chi non riesce ad unire al suo orizzonte la soggettività della sua epoca". In questa prospettiva la clinica attuale presenta il problema della sua molteplicità, come è stato sviluppato da Jacques Alain Miller, e, più in particolare, di ciò che si collega al "trattamento del sintomo" come lo intende la psicoanalisi nell’orientamento lacaniano. Due versanti allora, quello della clinica e quello del sintomo, che si intersecano per rendere possibile una pratica: quella che opera sull’inconscio. Viene poi preso in esame, a partire da un testo prodotto da Eric Laurent intitolato "Pluralizacion actual de las clinicas y Orientacion hacia il sintoma", la posizione della clinica psicoanalitica nell’attualità.

Alessandro Voltolin

La generazione sopita. Fight Club di David Fincher

COSTRUZIONI PSICOANALITICHE

Fascicolo: 1 / 2001

Irresponsabile, eversivo, iperviolento, moralmente irresponsabile, manifesto di liberazione, capolavoro, dice di questo film la rivista americana Rolling Stone. Fight club è tutto questo. La cosa più interessante da un punto di vista narrativo è la complessa struttura del film, tipica nel genere del noir psicologico, studiata interamente in funzione della conclusione. La direzione presa da questo tipo di cinema rispecchia i caratteri marcatamente esistenzialisti di buona parte del cinema giovane ameri-cano. Con la caduta del muro di Berlino, la fine della guerra fredda e il conseguente declino dell’impero sovietico, l’ideologia comunista ha iniziato a perdere il riscontro pratico, la dimostrazione e l’illusione che il comunismo potesse funzionare è crollata, lo stesso è accaduto per i totalitarismi fascisti in tempi ancor più remoti. Le leggi di mercato, che governano l’economia mondiale, si uniformano sulla base di un sistema economico dettato dalle leggi di concorrenza. La mancanza di altri sistemi sociali ed economici sommata all’assenza di modelli ideologico-politici alternativi porta il pensiero del regista ad un'unica conclusione, il ritorno al passato remoto della civiltà, perché lo stesso progresso ha portato ad un totalitarismo subliminale, che ha annullato la capacità di scelta senza che ce ne accorgessimo.L’impossibilità di una libera scelta, decretata da un potere nascosto e impresentabile crea nei giovani yuppies descritti da Fincher un evidente disagio al quale loro stessi non sanno associare una causa e, necessariamente, ritrovano serenità nello scontro fisico, simbolo, nel film, di esperienza concreta e verità rivelata in opposizione alla menzogna nascosta del progresso così come viene da loro vissuto. Combattimento, quindi, come ritorno alle origini dell’uomo, quando scontrarsi presupponeva l’esporsi e la parola concorrente era relegata alla sfera del gioco privo di reale importanza.

Roberto Carnevali

La rinuncia alla vendetta e l'uscita dalla torre: Edipo oggi da Hofmannsthal a Calderon

COSTRUZIONI PSICOANALITICHE

Fascicolo: 1 / 2001

Il titolo del lavoro di Voltolin, "Transitabili utopie", prende spunto da un saggio di Massimo Cacciari che accompagna l’opera teatrale di Hugo von Hofmannsthal La torre nell’edizione Adelphi, e che si intitola "Intransitabili utopie". La vicenda narrata nel dramma di Hofmannsthal è la stessa di un’altra celebre opera teatrale di tre secoli prima, La vita è sogno di Pedro Calderón de la Barca. Il fine ultimo di questo lavoro è contestualizzare storicamente le metafore del potere che i due drammi propongono, per arrivare a sviluppare alcune considerazioni su come l’utopia non più intransitabile renda plausibile, ai giorni nostri, l’offerta di una risposta psicoterapeutica psicoanalitica alla domanda d’aiuto che da nuovi strati della popolazione del mondo attuale viene rivolta a chi opera nel sociale. Una lettura psicoanalitica di La vita è sogno ci permette di vedere in Sigismondo la metafora di un uomo che, dopo aver subìto gli attacchi educativi di un padre che lo ha confinato in spazi troppo angusti, compie un suo percorso attraverso il quale conquista una saggezza che gli permette di rinunciare alla vendetta. La società di oggi ci impone di riscoprire il valore "terapeutico" dell’analisi, per dare una risposta concreta in chiave psicoanalitica a una domanda d’aiuto che si fa pressante, da strati sociali che in passato si sarebbero rivolti altrove, e che oggi invece possono attingere validamente alla conoscenza di sé come spinta al cambiamento. Viene infine proposto, a conclusione, un esempio, ancora preso dal mondo letterario, di un giovane di fine millennio che si dibatte fra problematiche edipiche, e che, come Sigismondo, trova la sua strada rinunciando alla vendetta. Il romanzo cui si fa riferimento s’intitola L’ombra e la meridiana, ed è di un Autore italiano, Paolo Maurensig.

Aldo Forno

Gli uni e gli altri. Frontiere

COSTRUZIONI PSICOANALITICHE

Fascicolo: 1 / 2001

Quale anelito aspettando l’istante in cui ci avrebbero dichiarato: adesso siete grandi. Brutto giorno, quando arrivò l’imprevisto. Non esiste conoscenza che anticipi, non è il campo del pensiero, non si tratta di ignoranza. Il corpo agisce ed è il campo dell’imprevisto, dell’incerto, dell’azione, ciò che inaugura una polluzione. Quel soggetto, che noi analisti ci prepariamo ad ascoltare, ha come supporto e avvenire la cifra, nel suo andare da una cifra all’altra e poi all’altra, fino alla cifra finale che alcuni assicurano, in base alla propria pratica come analisti, non essere altro che quella esistente all’inizio. Il soggetto, nel suo errare, percorre un cammino attraversando le diverse località della vita verso cui lo portano i suoi passi esiliati. Un territorio singolare, nella geografia degli esseri parlanti. L’imprevisto, con tutta la sua impossibilità di essere pensato prima, trova un luogo preparato e là un’ubicazione. Altra maniera di prospettare la pubertà è che il parlare e il giurare nei giochi non sia la stessa cosa che il parlare e il giurare nel mondo post-iniziazione. Il soggetto si è impegnato attraverso ciò che ha detto e ciò di cui si è vantato. Vengono citati alcuni casi clinici. È proprio dell’economia del dono essere ricevuto dai progenitori e dato alla discendenza. Quindi, tanto l’entrata quanto l’uscita dall’adolescenza sono, per l’adolescente e i suoi, caratterizzate da un’economia faticosa, che impegna una diversa relazione con la parola, con l’immagine e con ciò che si articola fra loro nel sostegno reciproco che si danno. Essendo, l’uscita, l’economia della trasmissione.

Noemi Ribeiz

Clinica d'Urgenza in un'istituzione privata

COSTRUZIONI PSICOANALITICHE

Fascicolo: 1 / 2001

Clinica d’Urgenza in un’istituzione privata (di Noemi Ribeiz) - Voglio condividere con i lettori l’esperienza delle nostre vicende, dei piaceri e dispiaceri relativi al nostro operato di analisti nel periodo del costituirsi, in Argentina, di un servizio pensato e creato nell’ambito dei lavori comunitari realizzati dalla nostra Fondazione, l’AEPA. Esso si basa su due grandi pilastri: il lavoro istituzionale in collaborazione con colleghi esterni e la formazione dei suoi analisti attraverso l’esperienza clinica. Cominciammo a imbatterci con una serie di difficoltà che ebbero grande rilievo nello spazio della Supervisione. Tutto ciò determinò, conseguentemente, qualche malessere fra i membri del gruppo di lavoro. Le indicazioni date al paziente dovevano essere riportate nelle corrispondenti cartelle cliniche, e una volta terminato l’orario di ogni terapeuta si doveva completare il rapporto in apposite tabelle, che erano state elaborate affinché il responsabile della giornata potesse essere tenuto al corrente di quanto accaduto. Gli spazi di tempo che i terapeuti assegnavano all’assistenza nella sede non potevano essere tenuti occupati per molto tempo, dato che erano destinati alle urgenze e ad alcuni casi gravi. Le rispettive cure si portavano a termine nei consultori privati dei rispettivi terapeuti. Si sono avute alcune difficoltà. Alcuni terapeuti erano reticenti a rimanere da soli nella sede mentre avevano a che fare con pazienti di questo genere. Essi apparivano svalorizzati in rapporto all’ideale di paziente che ognuno dei terapeuti si aspettava. Le osservazioni da parte del supervisore sulla mancanza di progetto in alcuni di questi colloqui, erano ascoltate da diversi terapeuti in modo paranoide. In molti dei colloqui portati in supervisione si cercava soltanto di delineare qualche traccia, attraverso la quale i pazienti fossero messi nella condizione di segnalare le priorità dei loro interessi. Seguono esperienze cliniche.

Sergio Marsicano

La psicoterapia in pazienti oncologici

COSTRUZIONI PSICOANALITICHE

Fascicolo: 1 / 2001

Nel 1987 mi è stata chiesta una supervisione all’équipe medico-infermieristica di una Divisione di Oncologia Medica, afflitta dai fantasmi prodotti dal lavoro con individui che stanno male e che nel 50-70% dei casi muoiono per le conseguenze della neoplasia. Dopo quest’iniziale esperienza, durata circa tre anni, presso l’Ospedale Maggiore di Niguarda, avevo proseguito il lavoro presso la Divisione di Oncologia Medica dell’Azienda Ospedaliera S. Carlo Borromeo di Milano, dove nei primi anni ho gettato le basi di un lavoro che è tuttora in sviluppo: il Progetto di Umanizzazione dell’Ospedale. Partendo dal fatto che Freud descrive una situazione particolare, la costrizione melanconica, in cui il soggetto è costretto strutturalmente a rinunciare alla lotta, allorché perde l’oggetto d’amore, delineo le basi per una psicoterapia ad orientamento psicoanalitico per pazienti oncologici, il cui orientamento di fondo assomiglia molto a quello del trattamento di pazienti melanconici o depressi. Dopo aver sottolineato le analogie evidenzio il fatto che la melanconia è nostalgia dell’ideale che pare essere alle spalle, del tempo passato andato perduto. Il melanconico piange cioè la perdita della mancanza dell’altro. Si spazia dal campo dell’investimento erotizzato a quello sublimato verso un individuo o verso le cose, i fatti, gli stati del mondo. Da quest’angolazione non si può pensare a una psicoterapia per la cura dei pazienti neoplastici, poiché i loro comportamenti fan parte di una radice sociale che è fuori del manicheismo medico: salute-malattia, bene-male. Possiamo tuttavia tracciare profili psicologici che aiutino a comprendere le manifestazioni umane, come espressione di un sapere che può in alcuni casi consentire un accoglimento medico, sociale, educativo e psicoterapeutico, in quei casi in cui venga richiesto.

Massimo Recalcati

L'al di là dell'Edipo

COSTRUZIONI PSICOANALITICHE

Fascicolo: 1 / 2001

Parto da un’osservazione centrale nell’intervento di Voltolin, riguardante, secondo una sua espressione, il declino della dimensione del patto simbolico. Cosa vuol dire "declino del patto simbolico"? Effettivamente è una dimensione che trovo centrale per comprendere l’epoca contemporanea. J. Lacan, che è stato evocato in diversi interventi, già nel ’38 diceva che la società occidentale è caratterizzata da una sorta di decadenza progressiva del mito del padre, da una sorta di oblio del Nome del padre, di oblio della funzione paterna. Che tipo di soluzione è l’Edipo? Perché questa soluzione oggi non tiene più? L’Edipo è la soluzione di un conflitto tra l’esigenza del soddisfacimento pulsionale e l’esigenza della legge, ovvero l’esigenza simbolica di porre un limite alla spinta della pulsione. Il bambino è posto come ciò che completa l’essere della madre e a sua volta il bambino, ecco la follia fallica, dice sì alla domanda materna e, nel primo tempo dell’Edipo, vuole essere quell’essere che completa l’essere della madre. È insensato rinunciare al soddisfacimento pulsionale. Questo è il tratto epocalmente inedito che investe, in qualche modo, la clinica della psicoanalisi, e cioè che la dimensione del sacrificio si mostra come assolutamente inutile. L’imperativo dell’Altro sociale inneggia al godimento, non al sacrificio, e tutte le nuove patologie che caratterizzano una delle dimensioni più attuali della clinica hanno a che fare con questa funzione sregolata del comando superegoico come spinta al godimento. È quello che J.A. Miller ha chiamato: "il cinismo contemporaneo": il soggetto cioè non si rapporta alla legge, né all’Altro del patto simbolico, ma si rapporta in modo esclusivo all’esigenza del suo proprio godimento. Questo dà luogo ad una sorta di convulsione della domanda di cui offre un paradigma clinico la bulimia.

Silvia Vegetti Finzi

Contrappunto alle relazioni

COSTRUZIONI PSICOANALITICHE

Fascicolo: 1 / 2001

Penso, come Bauleo, che queste siano le occasioni più importanti perché si confronta la riflessione con la pratica, il passato con il futuro. Sono molto contenta di essere qui grazie a Voltolin. Sono più ottimista di lui su Sesto San Giovanni in quanto, confrontandola con il resto delle città e con le mie altre occasioni d’incontro, devo dire che è una realtà sociale straordinaria che ha conservato memoria del proprio passato, e non a caso questa iniziativa sorge proprio qui. Non sarà facile riprendere i temi che sono stati trattati questa mattina nelle tre relazioni che mi hanno preceduta. Ho notato però una cosa: qui si è fatta veramente psicoanalisi, nel senso che c’è stata storia, utopia e soprattutto interrogazioni. Nessuno ha portato delle conoscenze definitive, ma tutti hanno aperto continuamente a nuovi contesti di riflessione e di crescita. Questa esperienza mi fa pensare ai policlinici psicoanalitici, innanzitutto a quello di Berlino degli anni ’20; mi fa pensare all’impresa di Alexander Mitscherlich del ’56 ad Heidelberg, di una clinica psicoanalitica aperta al sociale, che ha poi portato anche all’apertura a Berlino dell’istituto "Sigmund Freud", dove si facevano studi simili ai nostri di oggi, ovvero psicologia aperta alla società. Come saprete, Mitscherlich è l’autore di Verso una società senza padre, un libro molto datato, ma profetico, perché più e più volte si è parlato dell’eclissi del padre, il che non vuol dire che non rimanga una funzione superegoica interna, ma ancora più forte ed incontrollabile in quanto priva di un referente esterno, e quindi di possibili modulazioni nel corso dell’esperienza reale. Voltolin ha fatto riferimento a due autori: Reich e Adler. Reich ha tentato per primo di articolare la psicoanalisi con il marxismo che agiva all’interno del movimento operaio, e ha trovato dei mediatori, per usare una parola di Napolitani, nell’autoritarismo.

Armando Bauleo

Un doppio sguardo e un terzo orecchio

COSTRUZIONI PSICOANALITICHE

Fascicolo: 1 / 2001

Da sempre abbiamo creduto che questa psicoanalisi, erede delle prime pratiche e idee freudiane, sia l’unica adatta ad accompagnare il soggetto nel proseguimento della propria storia immersa nella storia sociale. Ma l’analisi ha sofferto diverse vicissitudini nel suo sviluppo e nella sua istituzionalizzazione. Voltolin ha esemplificato, attraverso gli "stati mentali marginali", la posizione di bambini, di psicotici, di gruppi che erano al di fuori dell’istituzione psicoanalitica. Il nostro problema è come intendere questi oggetti, come sviluppare il nostro intendimento. Parlo dell’intendere nel senso di Intellectus, di come possiamo preparare la nostra testa per comportarci analiticamente di fronte a queste nuove emergenze. Se l’insegnamento e l’apprendimento della psicoanalisi è stato un compito difficile, in questo momento scopriamo che è pressoché impossibile. Nel nostro fine secolo uno dei problemi maggiori che abbiamo è questo modo di intendere la psicoanalisi e la nuova pratica psicoanalitica.