Le migrazioni internazionali, che hanno coinvolto l’Italia come area di destinazione a partire dagli anni Settanta, hanno rimarcato le differenze economiche e sociali tra Nord e Sud del Paese, mettendo ancor più in evidenza i processi di segmentazione che caratterizzano il mercato del lavoro italiano. La diffusione di rapporti di lavoro informali, la precarietà delle attività svolte, le scarsissime possibilità di mobilità sociale, nonché la presenza di situazioni di vero e proprio sfruttamento, hanno fatto sì che molte aree del Mezzogiorno d’Italia, almeno in una prima fase, abbiano assunto prevalentemente la funzione di area di presenza temporanea o di transito dei lavoratori immigrati. Questa funzione è stata assolta sia per gli immigrati con progetti migratori a breve termine sia per coloro per i quali l’arrivo nelle regioni meridionali rappresentava una tappa intermedia in un traiettoria migratoria di più lungo periodo che aveva come destinazione finale le regioni del Centro- Nord. Se le partenze dal Sud verso il Nord degli immigrati che erano riusciti a regolarizzarsi sono state una costante negli anni - una sorta di "migrazione nella migrazione" - negli ultimi anni è emersa anche una tendenza inversa, soltanto in minima parte registrata dai dati, che ha riguardato soprattutto coloro che hanno subito processi di espulsione lavorativa, in particolare dalle piccole e medie industrie della Terza Italia e delle principali città industriali (Torino in primo luogo). La crisi economica - che ha avuto conseguenza più immediate e dirette proprio nelle aree del Centro-Nord che erano state meta delle migrazioni interne - ha prodotto una nuova mobilità interna, questa volta dal Nord verso il Sud dove la possibilità di svolgere lavori precari ancora una volta appare come un fattore di attrazione decisivo.