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Ci sono due fenomeni che stanno ponendo nuove sfide competitive a tutte le imprese di tutti i settori: i) la grande velocità di propagazione su scala globale che assumono eventi come quelli che hanno portato alla crisi finanziaria del 2009 o, dieci anni dopo, alla pandemia di Covid; ii) la transizione digitale. Di fronte a sfide di tale portata e complessità, diventa utile riflettere sulla capacità dei sistemi territoriali di affrontarle, guardando a questi sistemi sia come popolazioni di imprese, sia come insiemi di fattori che possono agevolare o penalizzare la competitività e la capacità innovativa delle imprese che ospitano. Il presente contributo sviluppa questa riflessione analizzando, sulla scorta della banca dati del Regional Innovation Scoreboard, quattro regioni: Veneto ed Emilia-Romagna, tipiche regioni della Terza Italia; Stoccarda al centro del Baden-Württemberg, la regione benchmark nel modello della Tripla Elica; la Lombardia, tradizionalmente vista più vicina alla seconda che alle prime.
In light of the resource-base view of the firm, liability of newness appears as a capability gap. Several studies claim that collaborating with others is an effective strategy for bridging this gap. However, none of them demonstrates that, against a capability gap declared by the new venture at its birth and filled at the end of the start-up phase, this result was achieved by resorting to relations with external actors.The paper aims at answering this research question analyzing both the case of a marketing and technological capability gaps. The empirical section presents the results based on an original dataset on about 400 Italian new ventures. Results show that collaboration with external partners is the only determinant in reducing both capability gaps, whereas the profile of the new venture as well as its size, its location and the founders’ education are not relevant. New ventures use external relationships to develop both technological and marketing capabilities.
Il presente contributo illustra le caratteristiche del processo di sviluppo che ha cambiato il paesaggio economico friulano a partire dagli anni Sessanta. Dalla rassegna della letteratura emerge un quadro che ha forti assonanze con il modello della Terza Italia. Nell’ambito di quel modello il Friuli si differenzia per due aspetti principali: il ruolo svolto dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia a supporto dello sviluppo economico locale; il ruolo di acceleratore dello sviluppo rivestito dal processo di ricostruzione che è seguito al sisma del 1976.
I distretti industriali sono molto cambiati da come descritti nelle iniziali opere di Beccatini e colleghi, evolvendosi in forme diverse tra loro. Tre traiettorie evolutive sembrano poter descrivere tale multiforme, recente, trasformazione: declino, gerarchizzazione e resilienza. Dopo aver descritto come si caratterizzano tali traiettorie, il presente articolo si focalizza sulle traiettorie di resilienza. Sulla base delle esperienze del distretto della calzatura della Riviera del Brenta e dello Sportsystem di Montebelluna, questo articolo discute le determinanti delle traiettorie di resilienza, a partire dalla prospettiva delle catene globali del valore, sottolineando l’importanza della presenza di imprese leader globali e di un vasto numero di attori dinamici locali.
Scritti italiani in onore di Ivan Snehota
Questo libro riprende buona parte dei concetti sviluppati da I. Snehota e da H. Håkansson nel saggio “No business is an island” (1989), che rappresentano uno dei più fecondi temi di ricerca nel marketing e nel management. Il testo raccoglie una serie di contributi di autori italiani che da tempo condividono le idee sviluppate in tema business relationship e network, e vuole essere un tributo di riconoscenza al collega e amico Ivan Snehota, accademico sempre disponibile al confronto dialettico e alla condivisione delle idee.
cod. 2000.1472
Nel panorama europeo il Veneto si distingue come regione caratterizzata da una elevata propensione innovativa, per quanto occupi una posizione arretrata rispetto alle variabili di input tradizionalmente considerate importanti per supportare i processi innovativi delle imprese. A partire dai risultati di una ricerca empirica sulle piccolo-medie imprese manifatturiere del Veneto, in questo articolo si affronta tale apparente paradosso motivandolo con le specificità dei processi innovativi in questa categoria dimensionale, che rappresenta la gran parte del sistema industriale della regione.
In questo studio vengono confrontate le dinamiche recenti di tre economie regionali: Piemonte, Veneto e Puglia. In passato queste regioni hanno rappresentato situazioni emblematiche di tre modelli di sviluppo diversi: il Piemonte nella parte industrialmente più evoluta del Paese (la "prima" Italia); il Veneto della "terza" Italia; la Puglia che si affrancava dall’arretratezza industriale del Mezzogiorno (la "seconda" Italia) per alimentare la cosiddetta "via adriatica allo sviluppo". L’analisi delle fonti statistiche disponibili ha portato a individuare significativi cambiamenti nelle economie delle tre regioni, che possono essere riassunti in cinque punti essenziali: la contrazione delle attività manifatturiere e lo sviluppo dei servizi alle imprese, in particolare di quelli ad alto contenuto di conoscenza; i processi di crescita aziendale e il diffondersi di assetti diversi dal modello familistico; le differenze settoriali della natalità aziendale e l’emergere di nuove forme creazione di impresa; il coinvolgimento delle imprese nei processi di innovazione; la ricerca, da parte delle imprese, di economie esterne oltre i confini dei distretti industriali. Lungo queste direttrici generali di evoluzione le tre regioni si collocano in posizioni diverse e il quadro che emerge è profondamente cambiato rispetto a quello che avevamo conosciuto in passato.
L’articolo presenta il caso di una media impresa, Solari di Udine, che produce sistemi di informazione al pubblico e altri tipi di beni. L’impresa è riuscita a fronteggiare la crisi iniziata nel 2008 senza contraccolpi negativi, grazie a un cambiamento strategico e organizzativo realizzato all’inizio del decennio. Nello specifico, Solari ha puntato sui prodotti più complessi della sua gamma, per i quali la capacità d’innovazione da un lato, e quella di riuscire a soddisfare richieste dei clienti altamente personalizzate dall’altro, costituiscono i fondamentali fattori critici di successo. L’impresa ha puntato decisamente in questa direzione, una scelta che ha anche avuto un’implicazione importante per quanto concerne la configurazione geografica della sua catena di fornitura.
Scienze regionali e sviluppo del paese
Una selezione dei contributi più significativi della XXXIII conferenza scientifica annuale dell’AISRe. Il testo analizza il ruolo delle regioni nei processi di crescita, anche alla luce dell’attuale situazione economica italiana e della crisi in corso. L’insieme degli studi presentati si focalizza sui meccanismi di crescita, gli stessi che possono innescare la ripresa, mostrandone la base territoriale.
cod. 1390.50
Lo strumento Made in Italy per integrare individualità e aggregazione
Una lettura combinata degli aspetti economici e giuridici dei “contratti di rete”, che evidenzia il ruolo strategico che gli stessi possono rivestire a supporto dello sviluppo delle piccole e medie imprese del nostro Paese.
cod. 1066.1
Nel lontano 1989, con grande lucidità e lungimiranza, Giacomo Becattini invitava a concepire il distretto industriale marshalliano "come una fase evolutiva lungo uno fra i diversi, possibili, sentieri di industrializzazione" (Becattini, 1989c, p. 409). Oggi numerosi osservatori qualificati della articolata realtà distrettuale italiana, accademici e non, affermano che quella fase si è definitivamente conclusa. L’obiettivo di questo lavoro è argomentare la progressiva dissoluzione della configurazione marshalliana di distretto analizzando una serie di fenomeni dei quali esiste riscontro nella letteratura empirica: l’incremento della concentrazione, all’interno delle popolazioni di imprese distrettuali, degli occupati e di altre variabili indicative della produzione di valore; il venire meno del fattore "filiera localizzata", ossia di quell’insieme di mercati di input intermedi che distingue un distretto industriale (non solo di tipo marshalliano) da una semplice area di specializzazione produttiva; la crescita relazionale delle imprese più dinamiche di un distretto oltre i suoi confini; l’emergere nei distretti di una società multietnica; la disomogeneità socio-culturale della struttura sociale dei distretti introdotta dal cambio generazionale; l’accresciuta eterogeneità settoriale dei territori distrettuali. Ciascuno dei fenomeni citati viene approfondito nell’ampia sezione 2 del lavoro. Questa analisi è preceduta da una sezione "propedeutica" dedicata a delineare in modo preciso i contorni distintivi dell’unità di indagine, il distretto industriale marshalliano, un termine che in letteratura viene spesso considerato erroneamente sinonimo di cluster oppure di distretto industriale (genericamente inteso). L’insieme dei fenomeni presi in considerazione ha profondamente modificato i sistemi distrettuali, determinando la fuoriuscita dalla fase o dal modello marshalliano. A questo punto si pone la domanda contenuta nel titolo del nostro contributo, che abbiamo ripreso da un recente lavoro di Rabellotti, Carabelli e Hirsch (2009): dove stanno andando i distretti industriali (non più marshalliani)? Abbiamo cercato di avviare un filone di ricerca empirica su questo tema partendo da tre dei maggiori distretti presenti in Veneto: il calzaturiero della Riviera del Brenta, l’occhialeria di Belluno e l’orafo di Vicenza (sezione 4). A tal fine sono state individuate alcune variabili, misurabili sulla base delle fonti informative disponibili, capaci di segnalare un aspetto importante della "vita" di un distretto industriale. I risultati ottenuti da questa analisi comparata di tipo quantitativo - integrati da quelli desumibili da altri lavori, anche qualitativi, prodotti su ciascuno dei tre distretti indagati - porta a confermare le tre traiettorie evolutive ipotizzate in un nostro precedente contributo (De Marchi e Grandinetti, 2012): il declino del distretto industriale in quanto tale, la "gerarchizzazione" dello stesso in poche imprese di grandi dimensioni, e infine la riproduzione evolutiva del distretto. Questi modelli vengono illustrati nella sezione 5, mentre la sezione conclusiva ricorda la domanda di ricerca e riassume il nostro tentativo di risposta, sottolineando le implicazioni di politica industriale che ne derivano.