Giuseppe Lazzati giunse alla direzione de "L'Italia" per spirito di obbedienza, chiamatovi dall'arcivescovo Montini.
La guida di un quotidiano era lontana dalle sue personali aspirazioni e dai suoi interessi, ma per più di tre anni (dal maggio del '61 al luglio del '64) mantenne fede all'impegno cercando di indirizzare il giornale su una linea adeguata al delicato momento storico che la vita politica ed ecclesiastica stavano attraversando.
Lazzati si fece così interprete delle esigenze di cambiamento provenienti dal laicato cattolico e dalla gerarchia, ma senza essere mai passivo portavoce, proponendo invece, in una personale sintesi, prospettive, limiti e modalità concrete dell'incontro tra cristianesimo e modernità.
Nonostante l'iniziale impreparazione tecnica, uno stile di scrittura non propriamente giornalistico, i perduranti impegni in Università Cattolica e i limitati mezzi a disposizione del quotidiano, nei tre anni a "L'Italia", Lazzati si dimostrò giornalista e ancor più direttore capace: convinto della inadeguatezza della cultura dei cattolici, ed in particolare di quella politica, diede precise indicazioni alla redazione e al gruppo di collaboratori chiamati a stendere gli editoriali, e nell'approfondire la sua opera di educatore dalle colonne del giornale espresse probabilmente uno dei punti più alti della sua attività intellettuale.