Vale per i popoli quello che vale per gli individui: non vi è identità senza memoria. Per questo ricordare è una necessità. La nostra biogra?a tuttavia incontra continuamente cancellazioni, interruzioni, deviazioni che la psicoanalisi s’incarica di colmare e organizzare in una narrazione coerente. Ma la rimozione resta, entro certi limiti, un’attività necessaria in quanto non costituisce l’antitesi della memoria ma una sua componente, un dispositivo necessario al suo funzionamento. Dagli anni ’50 in Italia è prevalsa una voglia di dimenticare che ha prematuramente cancellato le vicende della dittatura, delle persecuzioni politiche e razziali, della guerra, della resistenza, del con?itto civile che ha caratterizzato il primo dopoguerra. Probabilmente non era possibile ricordare tutto, mantenendo vivo il con?itto. Nella maggior parte delle famiglie i genitori non hanno trasmesso ai ?gli la memoria delle loro vicissitudini, non hanno narrato le loro esperienze, dato parola alla paura, alla colpa, al rimorso, all’orgoglio o alla vergogna che accompagnano i grandi eventi storici. Come se fosse disdicevole e inopportuno ricordare il passato tanto per i persecutori quanto per i perseguitati. Si è così prodotta una società che è rimasta in parte priva d’identità nazionale, di sentimenti di cittadinanza, dotata di un debole senso dello stato e della responsabilità collettiva, incapace di accettare le regole del vivere civile. Di fronte a un eccesso di rimozione, suggerisce Freud, occorre recuperare ciò che è stato, non solo per conoscerlo ma per riviverlo, per collegare in modo pertinente i fatti e gli affetti, le azioni e le emozioni. Solo al termine del processo di storicizzazione degli eventi alla tentazione della vendetta e alla logica della pena si può sostituire l’amnistia che, perdonando i colpevoli, non gli errori, ricostituisce il tessuto sociale dilacerato. Se questo "lavoro" non accade il rimosso ritorna come un rigurgito a perturbare la convivenza civile.