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Sin dagli anni venti Federico Chabod si interessò e appassionò profondamente alla cultura tedesca. Il suo rapporto di adesione allo storicismo tedesco classico, in particolare, permette di allargare lo sguardo ai rapporti tra l’Italia e la Germania dal settecento alla contemporaneità. Un approccio basato sulla "istorica della ricezione" applicata a entrambe le culture contribuisce a chiarire il processo di creazione delle identità storiche. La formazione dello Stato nazionale e la sperimentazione delle forme di totalitarismo in Italia e Germania sono due questioni analizzate nel testo. Le ambiguità costitutive del rapporto tra l’Italia e la Germania divennero visibili nelle vite di due italiani: Primo Levi e Giuseppe Renzetti. Il saggio si conclude con osservazioni sulla trasformazione dei rapporti tra l’Italia e la Germania dopo la riunificazione nel 1990 e sull’instabile significato delle identità nazionali nell’età della globalizzazione.
Questo contributo vorrebbe inserirsi in un insieme di studi dedicati al notabilato nell’Italia liberale (Banti, Camurri, Musella, Pignotti, Pombeni). Negli ultimi anni la storiografia ha rivalutato la figura del notabile, superando l’interpretazione essenzialmente negativa costruita dalle scienze sociali. Il caso della Sardegna è qui considerato tenendo conto di questa nuova tendenza storiografica. L’autore distingue, piuttosto nettamente, tra il notabile del piccolo paese, il notabile della città e il notabile parlamentare o uomo di governo con un profilo nazionale. Il notabile di paese possedeva di solito titoli di bassa nobiltà, era proprietario terriero e spesso non aveva un alto livello di istruzione. Diverso, invece, ero il notabile di città, che si era formato nelle università, aveva una cultura elevata rispetto alla media e aveva un certo prestigio anche al di là dei confini della Sardegna. Con l’avvento del movimento degli ex-combattenti, composto prevalentemente da ufficiali e soldati della prima guerra mondiale, il sistema che aveva dominato durante l’età liberale entrò in crisi.
Il presente articolo intende analizzare le vicende che portarono al ritiro delle Forze Armate inglesi dalle basi e dagli impegni strategici a Est di Suez, inserendo la riflessione entro il più ampio arco temporale che va dalla fine della Seconda Guerra mondiale alla metà degli anni settanta. Siccome l’evento marcò una rottura netta rispetto al passato imperiale britannico, è quanto mai necessario vederne la genesi entro il più esteso panorama rappresentato dalla strategia e dal pensiero geopolitico britannico del tempo. Ciò che mi propongo di offrire è una analisi della decisione adottata dal governo di Wilson, inserendola entro il quadro dei rapporti interni al partito laburista, di quelli tra mondo politico e le Forze Armate, nonché entro la strategia e la geopolitica che i politici laburisti ritenevano il paese dovesse adottare in un contesto internazionale cambiato rispetto al recente e al lontano passato. A questo proposito mi avvarrò della documentazione conservata negli Archivi di Stato britannici, dalla quale emerge che, oltre alle oggettive difficoltà economiche nelle quali versava il Regno Unito, un ruolo centrale nella decisione adottata dal governo laburista l’ebbero gli errori commessi dal Segretario alla Difesa Denis Healey. Tali errori resero il ritiro irreversibile, quando gli intendimenti del governo erano di segno parzialmente diverso, volendo l’esecutivo laburista, agli inizi della sua esperienza di governo, confermare il ruolo internazionale che la presenza delle forze armate britanniche a Est di Suez assicurava.
L’articolo analizza il rapporto tra il movimento politico radicale e le masse popolari rurali nella sfera pubblica, nel corso della Rivoluzione del 1848, nelle province calabresi del Regno delle Due Sicilie. Le forme, i luoghi, i temi e i discorsi della comunicazione politica, sia nel periodo costituzionale, che durante la rivoluzione anti-monarchica del giugno-luglio 1848, caratterizzarono una sfera pubblica rivoluzionaria, dominata dai radicali, che espresse un messaggio eversivo e anti-monarchico. Il confronto, nel "lungo periodo" degli anni trenta - quaranta dell’ottocento, tra i gruppi politici radicali e il movimento popolare di "revindica" dei beni comuni favorì lo sviluppo di un’alleanza rivoluzionaria tra radicali e popolazioni rurali. Altri fattori locali, come la conflittualità multipla tra fazioni e forze sociali e tra le comunità e il centralismo statale determinò l’emergere della "politica rurale". La radicalizzazione delle aree rurali si espresse mediante una politicizzazione dinamica, non verticistica, nelle feste civiche, nei circoli popolari e nel movimento "comunista" del 1848. L’adesione delle popolazioni al progetto politico dei radicali si rese evidente nel giugno 1848, con l’esplosione nella sfera pubblica di pratiche e simbologie repubblicane, che conferirono legittimità alle nuove forme di potere democratiche alternative alla monarchia.
Convinto che il diario del viaggio di Algarotti a San Pietroburgo, nell’estate del 1739, possa offrire un interessante punto di osservazione sui dieci anni di governo di Anna, da più parti definiti come il vero banco di prova dell’Impero russo dopo le riforme di Pietro il Grande, nel saggio l’autore ricostruisce le vicende dell’autocrazia mentre interviene sugli equilibri di potere dello Stato russo, riconfigurando i suoi rapporti con un’«aristocrazia» e, di riflesso, con una «nobiltà» che, dopo i drammatici eventi della crisi di successione tra il gennaio e il febbraio 1730, furono costrette ad abbandonare ogni progetto di difesa dei propri spazi di intervento politico. Ma sulla scorta del Giornale, il contributo propone anche una riflessione sui metodi e i limiti del dispotismo, colto nell’atto di alterare gli assetti tradizionali dello Stato, mentre interviene sugli equilibri di potere e sui rapporti tra ceti e istituzioni.