Stretto fra l'"emergenza rifiuti" e il dibattito politico-culturale intorno al concetto di sviluppo sostenibile, il settore dei rifiuti urbani sta sperimentando l'affermarsi di un nuovo modello: quello della gestione integrata.

In passato raccolta e smaltimento erano operazioni scollegate fin nei soggetti che ne erano responsabili; la "raccolta differenziata'' veniva intesa come un'operazione puramente accessoria, destinata a incidere più sull'immagine che nella sostanza; la presenza - ineluttabile - dei rifiuti costituiva il presupposto per la realizzazione di grandi impianti di smaltimento, nella logica del trattamento end-of-pipe.

Con il recepimento delle direttive 91/156, 91/689 e 94/62 dell'UEda parte del Decreto Ronchi, anche l'Italia si avvia ad un radicale ripensamento di questa filosofia.

Il nuovo modello pone l'enfasi sulla prevenzione e sulla valorizzazione dei rifiuti prima che sul loro smaltimento; si basa perciò su una progettazione dei cicli di raccolta attentamente differenziata in funzione non necessariamente del "riciclaggio'', ma anche semplicemente di forme di valorizzazione indiretta o di smaltimento ad hoc.

Ma quali sono i costi da affrontare per attuare la transizione?

Questo studio mostra che la gestione integrata è in grado di conseguire significativi miglioramenti della performance ambientale del sistema-rifiuti con costi che sono maggiori di quelli attualmente sostenuti; l'incremento tuttavia sembra essere di entità non drammatica, in particolare se i principi-base della politica dei rifiuti vengono intesi con la necessaria flessibilità.

Se l'alto costo ora pagato per smaltire i rifiuti in modo tradizionale contiene anche vistose fette di rendita per i possessori degli impianti, il nuovo modello avrebbe un altro vantaggio: il suo costo infatti sarebbe dovuto allo sviluppo di attività produttive e di servizio, con significativi e benefici effetti per l'occupazione e per l'indotto del settore.