Considerando che il lutto contribuisce ad inscrivere la fisionomia degli interlocutori più prossimi venuti a mancare, in modo via via più definito ed inconfondibile, l'autore prosegue ulteriormente il suo dialogo con il collega di cui tesse l'elogio, immaginando di ripercorrere insieme i luoghi che hanno dato vita ad un sodalizio che si è formato strada facendo: dalle prime esperienze modenesi come docenti a quella psicoanalitica, intrapresa con il dott. Salomon Resnik, che è stato l'analista di entrambi. Cercando di coniugare le due direttrici geografico-culturali più contigue, cioè quella di derivazione tedesca e quella francese, l'autore sostiene che le arti plastiche che hanno arricchito con le loro micro-narrazioni (soprattutto attraverso i capitelli) l'architettura religiosa, possano fornire delle indicazioni esemplari per orientarsi anche nell'osservazione clinica. Nelle umili figure che riproducono le pratiche abituali (ecoprassie) di operosità e di riparazione che intere generazioni hanno cercato di tramandare, l'autore sostiene di ritrovare le tracce di una gestualità esemplare che si riscontra sia nelle personificazioni oniriche di molti pazienti, che nella poesia di origine dialettale (mistieròi, in Zanzotto). Immagina poi che il collega di tante conversazioni che rimarranno indimenticabili, gli suggerisca di non contrapporle alle ecolalie, in modo che la composizione di natura discorsiva che caratterizza la cura, non debba perdere il carattere impalpabile di un sussurro che di solito raggiunge la parola quando porta sollievo.