La ricerca ha estratto dal catalogo 104701 titoli
La telemedicina consente oggi la trasmissione di elettrocardiogrammi, radiografie e il controllo di parametri come la temperatura corporea, la pressione sanguigna, il battito cardiaco, la glicemia, la spirometria, ecc. Questo progetto di domiciliarizzazione del paziente cronico con l’ausilio di strumentazioni telematiche propone una sperimentazione che muove dal presupposto che molti pazienti cronici possono essere controllati a distanza senza dover ricorrere a prolungati e/o ripetuti ricoveri ospedalieri. Il modello organizzativo prevede che il polo telematico ospedaliero osservi a distanza i pazienti con la collaborazione dei medici di base e i servizi di assistenza domiciliare agli anziani. La realizzazione di questo progetto di telemedicina mira in ogni caso a dare ai pazienti più serenità psicologica, maggior senso di protezione e, complessivamente, una migliore qualità della vita, in particolare agli anziani.
Vengono presentate due ricerche: la prima sulla qualità della vita della donna in menopausa e la seconda sulle modalità di accoglienza nei Consultori Familiari del Piemonte. Seguono alcune considerazioni che derivano dall’esperienza di lavoro clinico nei servizi Territoriali. Vengono descritte: Le modalità con le quali le donne si presentano, spesso dopo aver tentato di dare un senso al loro disagio, attraverso la ricerca di sintomi di malattia, anche con costosi esami diagnostici; l’accoglienza degli operatori che, gradualmente, propongono una nuova e diversa attribuzione di senso ai cambiamenti descritti; l’organizzazione e l’offerta di momenti di ascolto e ridefinizione della crisi in contesti individuali e di gruppo, da parte degli psicologi. Si propone un’accezione evolutiva della fase menopausale, cogliendo, all’interno della crisi, la possibilità di evoluzione verso modalità di rapporto con se stesse e gli altri che si modificano e possono diventare più armoniche e compiute.
Negli ultimi anni presso il Centro Grandi Ustionati di Torino si è osservato un notevole incremento nel numero dei ricoveri di anziani. Questo lavoro ha analizzato se il modo di affrontare la degenza ospedaliera in un reparto isolato è diverso o simile a quello dei pazienti più giovani. Le considerazioni finali di tale esperienza sottolineano che l’anziano vive il ricovero in un Centro Grandi Ustionati in modo diverso, molto spesso meno traumatizzante e che richiede un approccio assistenziale diverso rispetto ai protocolli abituali.
L’articolo descrive l’esperienza svolta da uno psicologo presso un servizio sanitario pubblico, in un reparto di neurologia, dove si attua un lavoro integrato di équipe (composta da neurologo, psichiatra e psicologo) al fine di formulare un’eventuale diagnosi di demenza. Vi sono riportate le riflessioni sui primi risultati di un’indagine descrittiva compiuta su 337 anziani, esaminati dal 1990 ad oggi.
Lo scopo del lavoro è presentare lo sviluppo di un’esperienza, nel primo quinquennio di attività, dalla sperimentazione alla realtà del primo centro diurno nazionale a carattere sanitario per demenze. Il lavoro svolto con i familiari indica che il supporto informativo, il sostegno psicologico e la costituzione di un gruppo di mutuo aiuto possono migliorare la gestione del malato e ridurre l’ansia nel caregiver. Le attività con i pazienti testimoniano la continua ricerca di interventi focalizzati sugli spazi di conservazione e riabilitazione della funzionalità cognitivo-comportamentale e, soprattutto, sulla qualità della relazione con la persona. L’impegno degli operatori in un’esperienza limite, qual è quella col paziente demente, suggerisce di rivedere il concetto di comportamento competente, interpretandolo come capacità di osservare i propri modi di vedere, di metterli in discussione e di integrarli in un lavoro d’équipe. Rispetto all’esperienza del centro diurno, permane la difficoltà di oggettivare attraverso indicatori adeguati la qualità dei risultati della clinica. D’altra parte, prendere in carico il paziente e la sua storia, estendere l’intervento a tutta la famiglia, ha il significato di tentare di ricostruire un senso, piuttosto che di raggiungere determinati standard operativi. Riconoscere al demente un posto (un tempo e uno spazio di ascolto, condivisione e significazione della sofferenza) consente di entrare in contatto con la soggettività del malato e di (ri)collocare la persona all’interno di relazioni affettive e familiari.
L’obiettivo di questo lavoro è di presentare la versione italiana del questionario francese sulle strategie di coping "Echelle Toulousaine de Coping (ETC)", di indagarne le caratteristiche stutturali e di effettuare una validazione concorrente con il Coping Inventory for Stressful Situations (CISS). L’adattamento italiano dell’ETC/It, che prevede 4 strategie di coping (Controllo, Rifiuto, Sostegno Sociale e Ritiro), è stato somministrato a 1257 soggetti, di cui il 36% maschi, età media 18.21, d.s. 1.02. Su questo campione sono state verificate le soddisfacenti caratteristiche psicometriche della scala attraverso analisi fattoriale e coefficiente Alpha di Cronbach. Ad un sottocampione di 969 soggetti, completamente comparabile al campione precedentemente citato, è stato somministrato congiuntamente il CISS, il che ha permesso di verificare le correlazioni tra le dimensioni dei due questionari, che confermano la validità di costrutto dell’ETC/It e mettono in evidenza come anche l’ETC/It preveda fondamentalmente la grande classificazione del coping in tre categorie: strategie orientate al compito, orientate alle emozioni e orientate all’evitamento. L’ETC/It si differenzia, però, per quanto riguarda il sostegno sociale, inteso come strategia attiva invece che come sottocategoria dell’evitamento. Lo strumento appare dunque utilizzabile in diversi contesti di ricerca e di applicazione dove si intenda considerare il sostegno sociale come una strategia comunque in grado di aumentare l’efficacia del coping, sebbene esso non sia classicamente considerato una strategia direttamente orientata al problema.
La presente rassegna offre un quadro riassuntivo della letteratura esistente sulla Sindrome da Stanchezza Cronica (CFS) dalla sua prima definizione diagnostica del 1988 ad oggi. La CFS è una patologia altamente debilitante, caratterizzata da una profonda e prolungata stanchezza inspiegabile dal punto di vista medico e da diversi sintomi aspecifici. Nonostante siano numerosi gli sforzi fatti per comprenderla, la CFS rimane ancora una patologia per molti aspetti sconosciuta. Lo scopo di questo lavoro è quello di offrire una descrizione dettagliata della malattia, e di mostrare le proposte terapeutiche finora elaborate.
Il tumore al collo dell’utero costituisce una significativa minaccia alla salute delle donne che può essere prevenuto attraverso procedure di diagnosi precoce. Il regolare ricorso al Pap-test consente nella maggior parte dei casi di arrestare il processo di sviluppo tumorale intervenendo in una fase in cui vi sono più possibilità di cura. Per tali motivi, è importante comprendere i fattori che spingono le donne a praticare (o a non praticare) i Pap-test. La ricerca si poneva l’obiettivo di comprendere in che misura le variabili socio-cognitive della teoria del Comportamento Pianificato (Ajzen, 1988) e del Modello delle Credenze sulla salute (Becker, 1974) potessero spiegare l’intenzione da parte delle donne a sottoporsi regolarmente al Pap-test. Un questionario adattato da Rutter, Quine e Chesam (1993) è stato somministrato ad un campione di 1007 donne (di età compresa tra i 25 e i 64 anni) di una regione del Nord Italia, con una eterogeneità di livelli educativi e legami relazionali. Si è ipotizzato che le variabili di vulnerabilità percepita, benefici e costi emotivi, influenza sociale e controllo comportamentale influenzino direttamente l’intenzione a praticare il Pap-test e che altre variabili demografiche ed esperienziali esercitino un’influenza indiretta. L’analisi dei dati è stata effettuata attraverso la verifica di un modello di path analysis. Una verifica preliminare della validità predittiva della teoria del Comportamento Pianificato è risultata insoddisfacente. È stato generato un nuovo modello che includesse i costi emotivi e la vulnerabilità percepita come predittori dell’intenzione. Le variabili socio-cognitive che significativamente predicono l’intenzione in maniera diretta sono i costi emotivi associati alla procedura dell’esame diagnostico, la vulnerabilità percepita e l’influenza sociale. Altre variabili socio-demografiche (il livello educativo e lo stato relazionale), informative (come la conoscenza della funzione del Pap) ed esperienziali (la presenza di precedenti sintomi all’utero) influenzano indirettamente l’intenzione a sottoporsi al Pap-test. Tali risultati hanno importanti implicazioni riguardo alle campagne di prevenzione secondaria e di educazione alla salute delle donne.
Nonostante il fumo di sigarette sia un comportamento dannoso per la salute, la sua diffusione è ampia e coinvolge persone di tutte le età e di tutti i livelli socio-culturali. In particolare, il consumo di sigarette si presenta in genere per la prima volta in adolescenza ed in questo stesso periodo dello sviluppo tende o ad essere abbandonato o a stabilizzarsi in un’abitudine adulta. Diventa quindi importante indagare questa fascia di età per capire quali siano i fattori che incidono sia sulla sperimentazione che sull’eventuale stabilizzazione del consumo. La ricerca qui presentata ha i seguenti obiettivi: descrivere il coinvolgimento nel fumo di un campione di 2.273 adolescenti che frequentano diversi tipi di scuole medie superiori; analizzare, attraverso un modello causale multifattoriale, l’influenza di variabili individuali, contestuali e sociali sul consumo di sigarette; valutare il peso dei concomitanti e dei predittori psico-sociali dell’implicazione dei ragazzi e delle ragazze. I principali risultati evidenziano come il fumo di sigarette svolga, per l’adolescente che vi è implicato, delle funzioni positive che hanno un impatto ben più forte rispetto alla consapevolezza della nocività del comportamento. In particolare, il fumo può essere interpretato come un modo per esprimere l’identità adulta in età precoce, ma anche come una modalità trasgressiva di affermazione vistosa di sé, come una strategia per farsi degli amici, per essere accettati in alcuni gruppi e per rafforzare l’identificazione all’interno del gruppo. Talvolta il fumo si configura come una fuga e come un modo di "occupare il tempo" in assenza di altre capacità progettuali. Tra i fattori di rischio per la stabilizzazione del consumo, la consapevolezza da parte dei genitori che i figli fumano risulta essere il più importante; anche la bassa autoefficacia scolastica, lo scarso sostegno da parte dei genitori, l’uso casuale e non pianificato del tempo libero hanno un impatto significativo.
Con questo articolo si intende indagare il cambiamento socio-culturale che influenza atteggiamenti e comportamenti degli anziani verso la salute. I dati provenienti da una rilevazione condotta su 494 anziani consentono di descrivere una nuova segmentazione emergente, caratterizzata da un elevato coinvolgimento in attività orientate alla cura e alla prevenzione. L’eterogeneità del segmento degli anziani viene interpretata in quanto conseguenza dell’impatto della comunicazione sull’identità e sugli stili di vita; la comunicazione emerge dunque come un mezzo ideale per promuovere la salute e per sostenere il perseguimento attivo del benessere.
Il lavoro ha lo scopo di presentare i contributi che seguono, introducendo alcuni spunti di riflessione intorno a questioni cruciali per la psicologia della salute e per la professionalità dello psicologo. Per identificare alcune problematiche vengono proposti i temi della soggettività, della relazione e del ruolo dello psicologo nei contesti istituzionali e organizzativi, in relazione ai casi della donna in menopausa e dell’anziano in stato di deterioramento cognitivo. Soprattutto riguardo all’anziano, sano e malato, lo psicologo è chiamato a favorire l’integrazione degli interventi e ad accogliere e conservare la domanda (di relazione) del soggetto. Riconoscere e tutelare la soggettività equivale a proporre l’identità individuale come una questione di natura non solo filosofico-psicologica, ma sociologica e storica: dalla concezione di uomo e dalla definizione di identità dipendono infatti l’immagine sociale del soggetto anziano, dell’invecchiamento, della malattia e, di riflesso, la qualità della cura e dell’assistenza alla persona. Dalla clinica nascono interrogativi e strumenti concettuali per la prassi e la progettualità del lavoro psicologico. Interrogarsi sull’identità e sulla soggettività in relazione alla malattia e al contesto sociale e istituzionale apre la strada a riflessioni sul ruolo dell’anziano, sulla qualità della relazione fra utenti, operatori e servizi, sulla valutazione psicometrica-clinica del paziente deteriorato e sul ruolo specifico dello psicologo.
Molte analisi sottolineano il peso determinante della comunicazione mediale su coloro che si dichiarano incerti. L’incertezza trae origine dal ruolo sempre più marginale che il credo politico riveste nella definizione della personalità. Parallelamente, assistiamo però ad un incremento di "fedeltà di coalizione": una sorta di "fedeltà leggera", tiepida, meno coinvolgente ma sempre più presente. Come se i cittadini ritrovassero nella scelta elettorale quel "voto identificativo" che aiuta a strutturare almeno una parte della propria coscienza collettiva. Molti elettori si dichiarano indecisi fino a qualche minuto prima di entrare nel seggio. Ma una volta che hanno una scheda in mano, le loro adesioni collettive si riattivano, indicando una scelta di campo precisa:.essi così sanno a chi dare il proprio voto. Il ruolo dei media non sembrerebbe allora così influenzante: in realtà, anche chi si dichiara indeciso le sue scelte le aveva già fatte.
Il saggio mostra come la "politica del corpo", normalmente legata alla qualità politica dei cittadini, si possa talvolta applicare anche al corpo politico del leader, ad esempio nel caso della sua medicalizzazione. La medicalizzazione del corpo del leader, nella sua produzione e rappresentazione mediale, può costituire una "desacralizzazione" della leadership ma può anche venire impiegata coma strumento del consenso o della lotta politica, come nel caso di una malattia di Silvio Berlusconi di cui i giornali hanno dato notizia nel luglio 2000. L’autore mostra come, con la produzione e l’uso mediale del corpo malato del leader, la comunicazione politica sia capace di creare non solo eventi mediatici ma anche eventi medici.
In questo articolo è presentato un modello causale del comportamento di voto, appositamente formulato per stimare gli effetti dell’esposizione alle reti televisive sulle scelte elettorali degli Italiani. Negli anni passati il modello ha evidenziato che gli effetti della televisione sul voto sono tutt’altro che trascurabili, e questo è anche il risultato a cui si perviene quando si misurano gli esiti che la comunicazione Rai e Mediaset ha avuto sulle elezioni europee del 1999.