La figura di Luigi Broggi (18511926) emerge con caratteristiche ben definite nella generazione di architetti milanesi nati tra gli anni 1850 e 1870 e formatisi sotto la guida di Camilio Boito all'Istituto tecnico superiore e all'Accademia di belle arti di Milano. Broggi, allievo certamente tra i migliori, appare predestinato a diffondere operativamente la lezione del maestro secondo una vena originale ma non senza qualche compromesso, se è vero che tutta la sua opera di architetto e critico è il risultato spesso felice di quella versatilità tipologica (funzionale e stilistica) che caratterizzò il più prestigioso professionismo milanese fra Ottocento e Novecento. E' dunque nel confronto tra Boito e Broggi, tra maestro e allievo, che è possibile leggere il passaggio fondamentale, ideale e storico, tra due generazioni che si guardano attraverso quello spartiacque decisivo che fu, in Italia, il processo unitario. La storiografia del Movimento moderno ha sempre guardato a questo contrasto generazionale cercando di ricostruire, negli intrecci ideologici e formali, una sorta di ascendenza per discriminate integrazioni, cioè con opportuni scarti critici non sempre desunti da autentiche ragioni contestuali. Con la pubblicazione dei diari di Luigi Broggi si è cercato quindi di restituire una trascurata dimensione nazionale ad un fenomeno internazionale quale fu quello dei , (secondo Nikolaus Pevsner) e di riaffermare l'importanza dello studio della peculiare situazione italiana e in particolare lombarda. Cosi che viene da chiedersi se ad esprimersi, tra la generazione di Boito e quella di Broggi, sia un diverso tenore di modernità, addirittura l'essenza di due diverse modernità o non, piuttosto, una "modernità", della prima rispetto ad un «modernismo» della seconda.