Come rappresentare i lavoratori non manuali è una questione che ha sempre posto non pochi problemi al sindacato. E soprattutto in sistemi sindacali come quello italiano, in cui non si sono sviluppate organizzazioni degli impiegati distinte da quelle degli operai.

Me è certo difficile sopravvalutare il peso e l'ampiezza della sfida che la questione degli impiegati pone al sindacato in un periodo storico caratterizzato dalla costante espansione del lavoro terziario fuori e dentro l'industria. Ciò che anzi appare sempre più evidente è che si tratta di una problematica niente affatto omogenea: perché molto diversi fra loro sono i lavori di tipo terziario, e perché molto diverse sono le dinamiche del comportamento sociale dei lavoratori non manuali a seconda che siano collocati a fianco del lavoro operaio, o invece in ambienti solo impiegatizi.

Lo studio condotto dal CERISS-FIOM di Milano, di cui vengono qui presentati i principali risultati, affronta la questione della rappresentanza degli impiegati in fabbrica attraverso una discussione critica dell'azione e della strategia sindacale a cavallo fra gli anni '70 e '80 in cinque aziende, differenti per quanto riguarda le caratteristiche del lavoro impiegatizio e l'esistenza o meno del confronto diretto con gli operai, quali sono la Dataconsyst, la Foster Wheeler, l'Italtel, la Gte, la Borletti. Ne emerge un quadro molto articolato, che contribuisce alla riflessione sia di quanti sono impegnati a decifrare la complessità di ciò che sta avvenendo, sia di quanti hanno la responsabilità dell'azione.